È un fatto riconosciuto dai servizi di salute mentale, dagli ordini degli psicologi e da tutte le organizzazioni che hanno a cuore la salute psichica di diversi ambiti della popolazione che la pandemia, insieme alle restrizioni che si sono dovute adottare per farvi fronte, abbia scosso nel profondo gli equilibri di vita di molte persone la cui resilienza non è stata in grado di far fronte al malessere generato. Soprattutto bambini, adolescenti, anziani e le tante persone fragili con minori strumenti per fronteggiare ansie, solitudini, precarietà economiche.
I servizi preposti del Sistema Sanitario Nazionale (centri di salute mentale, servizi per adulti in difficoltà, servizi di neuropsichiatria infantile, servizi per le dipendenze), già sottoposti a due decenni di tagli sistematici alla spesa pubblica, non si sono rivelati nelle condizioni di poter accogliere la sofferenza psichica indotta dalle successive ondate della pandemia e tantomeno di andare incontro a una domanda prevalentemente muta, soprattutto di preadolescenti e anziani soli, e talvolta sfociante in comportamenti distruttivi.
Le proposte di un bonus da spendere a favore di un sostegno psicologico, non ancora trasformate in provvedimento da parte del governo, sono la spia che segnala al legislatore un disagio diffuso e manifesto, cercando di tamponare, anche se tardivamente, una lacuna di interventi che, nella prima ondata della pandemia, sono stati per lo più lasciati in mano all’iniziativa delle organizzazioni di volontariato che si occupavano di emergenza, di ascolto e counseling telefonico.
Ci sarebbe molto da discutere se la delega allo specialista (psicologo o psichiatra) di un malessere che ha evidenti origini sociali possa costituire la giusta direzione delle risposte da fornire. Sicuramente quando la sofferenza diventa sintomatologia psichiatrica l’intervento specifico è doveroso.
Anche se, pur nelle situazioni più gravi, chi gestisce questi casi ben sa che la cura non è solo farmacologica o psicoterapeutica. Necessita di una rete di relazioni di accoglienza, utili non solo a riempire il tempo della giornata, ma necessarie per dare un diverso senso alla propria esistenza e all’impegno delle proprie energie.
Un contesto sociale in grado di andare incontro al disagio, di non averne paura, ma di accoglierlo, contenerlo ed elaborarlo attraverso la fruizione di relazioni umane che evitano la solitudine e la disperazione che spesso ne consegue, riaccendendo qualche speranza ragionevole e rimettendo in moto percorsi esistenziali animati da stimolazioni quotidiane, rassicurazioni, attività che calamitano interessi.
Un professionista della salute oggi sa che deve lavorare in questa direzione, non affidandosi solo alla persona e alla sua capacità di resilienza, macontribuendo a costruire un contesto sociale di appartenenza in grado di fare un salto di qualità nella vita, promuovendo partecipazione, coinvolgimento, maggiore reciprocità. Si inizia con chi è disponibile a mettersi in gioco, soprattutto rispetto alle persone più fragili, potendo prevedere che, se il lavoro viene condotto con attenzione e dedizione, l’effetto sarà a cascata, con contaminazioni progressive e a macchia d’olio.
Ma al di là dei processi che potrebbero essere innescati e la direzione che dovrebbe assumere il lavoro dei professionisti della salute (una promozione del benessere collettivo in grado di prevenire meglio il disagio, individuarlo precocemente, offrire opportunità per contribuire alla sua risoluzione), si tratta di capire se il bonus psicologico, per quantità e qualità, può rivelarsi utile innanzitutto per le persone in difficoltà e per contribuire alla rigenerazione del tessuto sociale.
La proposta di legge prevede per un anno un doppio stanziamento di fondi: 15 milioni di euro per un prima risposta e valutazione dello stato di malessere, e 35 milioni per un sostegno psicologico protratto nel tempo, demandando a successivi decreti attuativi la traduzione organizzativa del servizio.
La prima domanda è: su un piano quantitativo è un’offerta congrua, pur in assenza di dati epidemiologici che non siano approssimativi e puramente indiziari dello stato di bisogno?
Il primo stanziamento significa, mediamente, 750mila euro a Regione (di più per quelle più grandi e meno per quelle più piccole), in grado di rispondere, sempre mediamente, alle richieste di 5.000 persone a livello regionale, per un massimo di tre incontri di un’ora ciascuno. Lo scopo è fornire un buon counseling e condurre una valutazione della necessità di accesso al beneficio del successivo sostegno terapeutico. Il secondo stanziamento, mediamente di 1.750.000 per Regione, consentirebbe di effettuare il sostegno psicologico mirato (sempre mediamente, in ogni Regione) a 1.000-2.000 persone, un’ora a settimana, per un tempo protratto tra 6 mesi e 1 anno, a seconda delle necessità.
Per una prima fase di avvio sperimentale, pur tardiva in quanto arriverebbe sulla scia della quarta ondata Covid, lo stanziamento si configura anche come una sonda per fare emergere il bisogno effettivo.
La seconda domanda concerne invece l’organizzazione della risposta.
L’ideale sarebbe un ingaggio pubblico a tutti gli effetti, pienamente all’interno dei servizi preposti del SSN, in ambulatori de-stigmatizzati (poliambulatori, case della salute, case di quartiere...). In questo caso si richiederebbe l’assunzione, per ogni Regione, di un numero psicologi tale il cui costo, anche con contratto a termine, supererebbe di gran lunga il budget previsto.
La traduzione organizzativa del bonus comporterebbe pertanto una convenzione con gli ordini degli psicologi regionali per un avviso di chiamata in modo da mettere a disposizione i professionisti psicologi-psicoterapeuti, con i loro studi privati o ambulatori medici associati, a una retribuzione oraria medio-bassa in base al tariffario di 30-50 euro senza IVA, nel riconoscimento di una funzione sociale a cui accederebbero le persone meno abbienti.
L’attuale tetto di reddito di 50mila euro annuo è troppo alto e va abbassatose si intende tutelare un maggiore accesso al bonus delle classi sociali medio-basse. Chi beneficia di un reddito superiore ai 40mila euro annui è infatti in grado di sostenere una spesa di 200 euro al mese per lo psicologo una volta a settimana.
I servizi pubblici non sarebbero chiamati fuori del tutto: per le situazioni più gravi, in cui il disagio prodotto dal lockdown prelude o fa emergere una patologia conclamata, il rimando inevitabile è alle strutture in cui sono presenti équipe di professionisti attrezzate per la presa in carico delle patologie conclamate: il Centro di salute mentale per gli adulti, i servizi di neuropsichiatria infantile per i bambini, i preadolescenti e gli adolescenti.
(leopoldo grosso, presidente onorario Gruppo Abele)