A vent’anni dalle giornate tese e festose, miste di paure e di speranze, vissute a Genova nel luglio 2001, i ricordi tornano vivi e brucianti. Ricordare è del resto importante, non solo singolarmente ma anche a livello collettivo, perché un Paese smemorato o arreso a memorie di comodo è un Paese senza storia e verità.
I fatti li conosciamo tutti. Nel capoluogo ligure era convocato il G8, la riunione dei capi di governo delle maggiori potenze economiche mondiali: capi politici ma prestati in quella sede agli interessi della grande industria, delle multinazionali e della finanza. Decisi a dettare la linea a livello globale, condizionando anche le politiche – economiche, energetiche, ambientali – di tutti gli altri.
A Genova però, come già era successo altrove in occasione d’incontri al vertice fra i potenti, si diedero appuntamento anche tanti cittadini comuni, associazioni, gruppi d’impegno e di opinione, decisi a far sentire la propria voce, a far valere le proprie istanze di cambiamento. I media definirono quel movimento vasto e variegato come no global, ma si trattava di un appellativo errato perché troppo incentrato su quel no come semplice rifiuto di qualcosa. Certo una parte del discorso consisteva nel denunciare con forza i limiti del modello liberista dominante, ma forte e articolata era anche la proposta di un modello di sviluppo alternativo. Per questo gli attivisti avrebbero preferito essere chiamati altermondialisti, così da suggerire, in modo programmatico, la possibilità di un mondo altro e giusto.
Dagli scout ai centri sociali, dai gruppi cattolici ai giovani disobbedienti, dai rappresentanti di partito alle associazioni ambientaliste, dai sindacati di base al volontariato sociale, fra cui Gruppo Abele e Libera: persone dai vissuti e dai riferimenti culturali anche molto diversi si unirono sotto la stessa bandiera, quella di un genere umano in pericolo che voleva darsi l’opportunità di risolvere in tempo i problemi da lui stesso creati. Fra i tanti, non posso non ricordare il mio amico don Andrea Gallo, col quale abbiamo condiviso tante battaglie culturali e politiche, che di quelle manifestazioni fu anima instancabile, e voce fra le più ascoltate e profetiche.
Per le strade di Genova in quella calda estate sfilò una moltitudine variopinta, plurilingue e transgenerazionale, uno spaccato di nuova società e di nuova politica possibile. Sorridente ma radicale nella critica dei potenti che poco lontano, protetti da uno schieramento militare da scenario di guerra, decidevano, sulla base di dottrine politico-economiche il cui fallimento era ampiamente prevedibile, i destini del mondo. Un mondo già ferito in profondità dai processi della globalizzazione economica e finanziaria con il loro portato d’intollerabili diseguaglianze, squilibri sociali e ambientali. Un mondo già su uno scivoloso crinale e in procinto di cambiamenti drammatici e irreversibili, come di lì a poco si capì appieno con gli attentati dell’11 settembre.
Non diversamente che in altri luoghi e in altre occasioni, le autorità risposero a quella richiesta di ascolto con miope indifferenza e con durezza feroce, e molti di coloro che erano a Genova conservano il trauma di quei giorni: l’uccisione del giovane Carlo Giuliani, i pestaggi alla scuola Diaz e le torture nella caserma Bolzaneto. La cronaca prese il sopravvento sui temi offerti al confronto, la repressione prevalse sulla riflessione, di fatto zittendola.
Eppure quel movimento non aveva nulla di pericoloso o sovversivo. Non cercava potere, ma chiedeva giustizia. Chiedeva di invertire la rotta di uno sviluppo economico senza regole se non quelle dell’egoismo, dello sfruttamento e del profitto. Chiedeva di innescare processi di redistribuzione economica e di progresso sociale attraverso l’istruzione. Chiedeva dignità nel lavoro, un utilizzo più oculato delle risorse naturali, un’attenzione ai poveri, agli ultimi, ai deboli.
A livello politico, quella visione uscì calpestata e umiliata. Ma dal punto di vista culturale, quelle analisi e proposte si sono rivelate lungimiranti, come hanno dimostrato vari fattori nei due decenni trascorsi: l’instabilità di varie regioni del mondo, in ostaggio di guerre civili e terrorismo, la crisi finanziaria globale e quella climatica, per arrivare all’attuale crisi pandemica, ennesima conferma dell’insostenibilità umana e ambientale del liberismo senza freni.
Per questo il ventesimo anniversario di Genova non può permettersi accenti celebrativi o nostalgici, né limitarsi a un pur necessario recupero di memoria. C’è ancora la possibilità di incidere nelle scelte politiche e nella coscienza collettiva. C’è ancora la possibilità di cercare il futuro in un’altra direzione.
Un mondo diverso è ormai non solo possibile, ma necessario.
(luigi ciotti)