Caro Paolo,
che dispiacere questa tua partenza improvvisa, senza il tempo di un abbraccio, di un saluto! Che tristezza trovare il tuo nome fra le notizie del giorno, non come autore di un pezzo brillante, ma protagonista del cordoglio di tanti colleghi e amici.
Ricordo bene la nostra ultima, intensa chiacchierata, qui nella sede del Gruppo Abele a Torino. Un dialogo sul filo dei ricordi ma anche curioso dell’oggi e teso a immaginare prospettive future. Perché così era il tuo sguardo, sempre interessato a cogliere i fatti nelle loro varie dimensioni: temporali, razionali e soprattutto umane.
Da quella chiacchierata hai tratto una bella intervista per La Stampa, che resterà come ricordo del rapporto di amicizia che ci ha a lungo uniti. Ti ho conosciuto che eri ancora un ragazzo, e insieme a te ho conosciuto e stimato i tuoi genitori. Eri agli inizi della professione, scrivevi per il Manifesto. Poi sono venuti gli anni a Repubblica e alla Stampa. Da lettore, non soltanto da amico, ho apprezzato il tuo impegno di giornalista tanto rigoroso quanto sensibile. Nel seguire le vicende, in particolare industriali, di Torino e dell’Italia, davi conto delle scelte dei potenti senza mai scordare le difficoltà dei più deboli. Sapevi leggere le dinamiche economiche anche nei loro risvolti sociali, eri sempre partecipe alle iniziative di volontariato e attivismo civico, e ti sentivi sinceramente vicino alle fatiche della gente. Lo testimoniano i tuoi ultimi articoli per il giornale: il racconto di un rider alle prese con le consegne nella notte dell’alluvione a Bologna, e un’intervista a Marco Revelli all’indomani dell’ennesimo incidente mortale in fabbrica.
Nel tuo lavoro cercavi sempre la verità, come il giornalismo autentico è chiamato a fare. Ma eri un uomo “in ricerca” anche in un senso più profondo, e spesso ci è capitato di confrontarci sui grandi temi della vita e della morte, la spiritualità, il ruolo della Chiesa. Lo spessore dei tuoi pezzi nasceva anche da questo continuo interrogarsi sul senso delle cose che accadono, e di quelle che potrebbero o dovrebbero accadere.
Non doveva accadere che te ne andassi così presto, vorrei dirti adesso! Ma forse mi rimprovereresti la mancanza di fiducia nel mistero dell’esistenza umana, che rende irripetibile e imprevedibile ogni storia. Ti dico allora ancora una volta grazie per tutte quelle che tu, con garbo e passione, ci hai raccontato. E una volta ancora ti abbraccio, mandando un pensiero di forza a Gabriele e Stefania, i tuoi grandi affetti.
(da La Stampa - 26/10/2024)