NotizieIl razzismo si sconfigge lottando contro la povertà

Il razzismo è da tempo, anche in Italia, una realtà. E si è consolidato in maniera esponenziale dall'inizio del nuovo millennio. Con due novità di rilievo rispetto al passato recente.  Da un lato ai suoi destinatari tradizionali – gli ebrei e gli zingari (rom e sinti) ‒ si sono aggiunti i migranti e gli stranieri, quelli con un diverso colore della pelle e una diversa religione, che rapidamente ne sono diventati le vittime principali. Dall'altro l'odio razziale, prima relegato in alcune piazze, negli stadi, in gruppi politici minoritari, si è esteso alle stanze del potere e si è trasformato in programma di governo, in razzismo di Stato. La propaganda, il linguaggio, le affermazioni xenofobe sono diventate pratica quotidiana di politici e portaborse e riempiono telegiornali e talk show a sostegno di politiche e provvedimenti apertamente razzisti: la chiusura dei porti alle navi che trasportano migranti salvati in mare, la continua intimidazione e delegittimazione delle Ong che si dedicano al salvataggio e all'assistenza, gli sgomberi di centri e luoghi di accoglienza senza previsione di soluzioni alternative, la diminuzione dei fondi dedicati all'integrazione dei migranti e finanche di quelli per la realizzazione dei rimpatri volontari e via elencando. Tutto questo oggi come ieri (seppur in modo meno urlato).

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Il razzismo è da tempo, anche in Italia, una realtà. E si è consolidato in maniera esponenziale dall’inizio del nuovo millennio. Con due novità di rilievo rispetto al passato recente. Da un lato ai suoi destinatari tradizionali – gli ebrei e gli zingari (rom e sinti) ‒ si sono aggiunti i migranti e gli stranieri, quelli con un diverso colore della pelle e una diversa religione, che rapidamente ne sono diventati le vittime principali. Dall’altro l’odio razziale, prima relegato in alcune piazze, negli stadi, in gruppi politici minoritari, si è esteso alle stanze del potere e si è trasformato in programma di governo, in razzismo di Stato. La propaganda, il linguaggio, le affermazioni xenofobe sono diventate pratica quotidiana di politici e portaborse e riempiono telegiornali e talk show a sostegno di politiche e provvedimenti apertamente razzisti: la chiusura dei porti alle navi che trasportano migranti salvati in mare, la continua intimidazione e delegittimazione delle Ong che si dedicano al salvataggio e all’assistenza, gli sgomberi di centri e luoghi di accoglienza senza previsione di soluzioni alternative, la diminuzione dei fondi dedicati all’integrazione dei migranti e finanche di quelli per la realizzazione dei rimpatri volontari e via elencando. Tutto questo oggi come ieri (seppur in modo meno urlato).

Inutile minimizzare: siamo immersi nel razzismo. Nelle città e, forse ancor più, nei piccoli centri e nelle periferie (geografiche e sociali), luoghi privilegiati del rancore sociale indotto dalla crisi e moltiplicato da chi, sull’odio e sul disprezzo dei diversi, cerca di costruire le proprie fortune elettorali.

Non è tutto così, ovviamente. C’è un’ampia realtà che si contrappone al razzismo, che crede nei diritti e nell’uguaglianza, che pratica la solidarietà, che resiste all’odio e alla demagogia. E tuttavia questa realtà sparsa sul territorio, che a volte emerge in modo prorompente, stenta a trovare voci e riferimenti autorevoli capaci di offrire prospettive credibili, di proporre un disegno alternativo coerente, di indicare vie di uscita dalla secche dei tatticismi e dell’ipocrisia. Così l’odio razziale come metro di interpretazione delle dinamiche sociali cresce e diventa pensiero dominante, nelle sue forme più brutali e in quelle solo apparentemente soft (quelle, per intenderci, del “non sono razzista ma…”).

Come superare questa situazione?
Il primo dato, fondamentale e irrinunciabile, è continuare a praticare la solidarietà e moltiplicare l’impegno. Senza questa pratica nulla è credibile. Ma l’impegno e la resistenza contro le prassi e le norme xenofobe e discriminatorie non bastano. Esse devono essere il presupposto per costruire una cultura e una politica alternative a quelle dominanti. Operazione difficile e non di breve periodo che richiede alcuni passaggi ineliminabili. Due su tutti.

Il contrasto del razzismo deve andare di pari passo con azioni positive contro la povertà. Il successo delle politiche di rifiuto e di inferiorizzazione dei migranti si alimenta della contrapposizione, tanto infondata quanto suggestiva, tra i diritti dei più poveri e quelli degli invasori, inducendo la convinzione che per garantire e salvaguardare i primi sia necessario negare i secondi. Solo capovolgendo questa equazione si può capovolgere il razzismo. Le lotte per la casa, per il lavoro, per la salute non sono altro rispetto alla lotta contro il razzismo ma facce della stessa realtà. Senza questa consapevolezza e una pratica conseguente l’impegno antirazzista sarà considerato dai più come un lusso radical chic e risulterà inevitabilmente perdente.

Alle politiche di rifiuto e di respingimento e alla cultura che le ispira vanno contrapposte una politica e una cultura diametralmente opposte. Non si contrasta il razzismo violento e brutale con un razzismo soft che, oltre a rappresentare una contraddizione in termini, non fa che offrire argomenti al primo e rafforzarlo. L’accoglienza si governa, non si nega. Richiedere e praticare politiche finalizzate a una maggior giustizia tra gli Stati è necessario, anzi è un dovere civile, ma non ha nulla a che vedere con il diversivo razzista riassunto nell’espressione “aiutiamoli a casa loro”. Nessuna aggregazione antirazzista può prescindere dalla chiarezza su questi punti. Non per logiche divisive e antiunitarie ma, più semplicemente, per ragioni di credibilità (senza la quale è illusorio pensare di avere seguito e successo).



(livio pepino, direttore editoriale Edizioni Gruppo Abele)

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