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NotizieLa guerra alla droga è fallita, ora la Conferenza nazionale

I dati recenti dicono che, nonostante la pandemia abbia imposto nel 2020 una politica deflattiva nei confronti della popolazione carceraria, a fronte del rischio di una diffusione dei contagi all'interno di un'istituzione chiusa quale il carcere, non si è registrata, negli istituti di pena italiani, alcuna diminuzione percentuale del numero di "detenuti per droga".Gli effetti della legge del '90, in particolare dell'articolo 73, hanno portato in carcere nel 2020 ben 10.852 persone per imputazione/condanna, su un totale di 35.280 ingressi totali. La percentuale è del 30,8%.Al 31 dicembre del 2020 i detenuti tossicodipendenti "certificati" dai servizi erano 14.148, il 26,5% del totale. Numeri che confermano il costante aumento negli ultimi 5 anni. Aumento che sta ormai raggiungendo i livelli della Legge Fini-Giovanardi (27,5% nel 2007), legge poi parzialmente abrogata dalla sentenza della Corte Costituzionale. L'effetto del lockdown è stato l'ampliamento del numero di persone che hanno evitato il carcere per via delle misure alternative e una drastica diminuzione della segnalazione alle Prefetture delle persone per detenzione per uso personale

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Puntuale, da dodici anni, il Libro bianco sulle droghefornisce una serie di dati essenziali relativi agli effetti del Testo Unico sugli stupefacenti (DPR 309/90) sul sistema penale, sui servizi, sulla salute delle persone che usano sostanze e sulla società. È promosso da La Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone, CGIL, CNCA, Associazione Luca Coscioni, ARCI, LILA e Legacoopsociali con l’adesione di A Buon Diritto, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione Pubblica CGIL, Gruppo Abele, ITARDD e ITANPUD. Ogni anno viene presentato in occasione del 26 giugno, Giornata mondiale sulle Droghe.

Il rapporto, indipendente, contenente i dati del 2020, mette in evidenza gli effetti della war on drugs sul sistema penale e penitenziario italiano e presenta un focus sulle convenzioni internazionali a 60 anni dalla Convenzione Unica del 1961 e un approfondimento sulla Conferenza nazionale sulle droghe che in Italia manca da 12 anni.

I dati recenti dicono che, nonostante la pandemia abbia imposto nel 2020 una politica deflattiva nei confronti della popolazione carceraria, a fronte del rischio di una diffusione dei contagi all’interno di un’istituzione chiusa quale il carcere, non si è registrata, negli istituti di pena italiani, alcuna diminuzione percentuale del numero di “detenuti per droga”.
Gli effetti della legge del ‘90, in particolare dell’articolo 73, hanno portato in carcere nel 2020 ben 10.852 persone per imputazione/condanna, su un totale di 35.280 ingressi complessivi. La percentuale è del 30,8%.
Al 31 dicembre del 2020 i detenuti tossicodipendenti “certificati” dai servizi erano 14.148, il 26,5% del totale. Numeri che confermano il costante aumento negli ultimi 5 anni. Aumento che sta ormai raggiungendo i livelli della Legge Fini-Giovanardi (27,5% nel 2007), legge poi parzialmente abrogata dalla sentenza della Corte Costituzionale.
L’effetto del lockdown è stato l’ampliamento del numero di persone che hanno evitato il carcere per via delle misure alternative e una drastica diminuzione della segnalazione alle Prefetture delle persone per detenzione per uso personale. Nel 2020 le segnalazioni sono state circa 31.000, il 25% in meno dell’anno precedente. Il numero di minorenni segnalati rimane intorno ai 3.000, di cui il 97% per detenzione di cannabis.

Per l’ennesima volta, l'analisi dei dati impone di cambiare la legge del ’90, ormai vecchia anche riguardo all’impostazione dei servizi di prevenzione, cura e riabilitazione. Dunque risulta essere più che necessaria la convocazione della Conferenza nazionale sulle drogheche, con un ritardo di ormai 12 anni, finalmente la ministra Dadone, delegata a essere il referente politico per il Dipartimento interministeriale antidroga, sembrerebbe volere indire entro la fine dell’anno. Tuttavia, le modalità di preparazione alla Conferenza sembrano al momento eludere il necessario confronto preliminare per la predisposizione dei documenti necessari alla discussione.
Sarebbe ovvio coinvolgere nella fase di preparazione non solo gli operatori del pubblico e del privato sociale, ma anche studiosi e ricercatori, i rappresentanti delle associazioni impegnate a vario titolo sul campo, senza dimenticare la voce dei consumatori stessi e dei loro famigliari.

È indispensabile confrontarsi su alcune evidenze emerse in questi anni, la prima delle quali è il totale fallimento della “guerra alla droga”, di cui la legge 309 del 1990 è figlia. Non solo perché non è riuscita nel suo intento retorico di “liberare il mondo dalle droghe”, ma perché si sono rilevati pesanti gli effetti collaterali della sua impostazione, soprattutto a danno di coloro che si collocano all’inizio e alla fine della filiera del narcotraffico: i contadini coltivatori e i consumatori. E i dati di quest'ultimo Libro bianco sono l'ennesima conferma, oltre che i contorni di un dramma sociale.

Nella tradizionale suddivisione tra riduzione dell’offerta e riduzione della domanda di sostanze psicoattive l’enfasi è sempre stata a favore della repressione del traffico, che ha di conseguenza beneficiato della maggioranza delle risorse pubbliche. Oggi, alla luce del fallimento della guerra alla droga, si tratta per un verso di pervenire a un maggiore equilibrio di investimenti e per l’altro di ripensare e ridefinire nel loro complesso le strategie di contrasto alle attività dei narcotrafficanti.

Sul lato della diminuzione della domanda si impongono due questioni: la prima è il rilancio della prevenzione in tutte le sue articolazioni, dalla prevenzione primaria alla riduzione del danno. Tenendo conto che la prevenzione nei territori è stata la principale vittima sacrificale dei tagli alla Sanità e agli enti locali degli ultimi 20 anni. È impensabile ridurre la domanda di sostanze psicoattive tra i giovani se vengono a mancare le opportunità per la loro realizzazione e per il loro futuro.
La seconda questione è la de-criminalizzazione del consumo. Eliminare l’illecito del consumo non solo eviterebbe molti pesanti effetti collaterali dell’uso di droghe, ma comporterebbe un significativo ri-orientamento di risorse, dal sistema penale (attività di polizia, dei Tribunali, del carcere) al sistema sociale di aiuto e di re-inclusione. Dal penale al sociale, come più volte si è cercato di sintetizzare e ribadire.

Rimane infine aperta la questione della legalizzazione della cannabis. Le esperienze in atto in molte parti del mondo vanno monitorate attentamente per capire meglio, in base alle evidenze scientifiche raccolte, i vantaggi e gli svantaggi di tale scelta. Se, oltre all’indubitabile vantaggio di togliere denaro fresco al narcotraffico e contrastare l’infiltrazione di capitali sporchi nell’economia legale, fosse scongiurato lo svantaggio di un ipotetico allargamento della platea dei consumatori, le buone ragioni a sostegno della legalizzazione dovrebbero meritare seria considerazione in un dibattito non più eludibile.

L'augurio è che l'intenzione della società di uscire cambiata dalla pandemia mondiale si manifesti anche nelle politiche che regolano la materia droga, a partire dalla preparazione dell'attesissima, almeno per gli addetti, Conferenza nazionale sulle droghe.

(leopoldo grosso, presidente onorario Gruppo Abele)

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