Invasione degli immigrati, ritorno dei drogati, insicurezza... Ogni giorno i giornali, la televisione e i social network ci bombardano di informazioni distorte, che fanno leva sulla paura fomentando i pregiudizi. Per questo alcuni giovani vicini al Gruppo Abele hanno proposto il corso di formazione #iocivado. Un campus pensato dai giovani per altri giovani per discutere di tematiche importanti come dipendenze e immigrazione ma senza lezioni frontali: perché è solo nell'incontro e nel confronto che si cresce per davvero.
In questi mesi di organizzazione del campus abbiamo deciso che nessuno dei nostri ospiti sarebbe salito su un piedistallo, perché quando parliamo di immigrazione non parliamo solo di un fenomeno, di un'emergenza o di numeri: parliamo di persone. Per questo a farci raccontare che cos'è l'immigrazione abbiamo chiamato i veri protagonisti: i migranti. Siamo certi che i loro volti, le loro tradizioni, la storia del loro viaggio e delle loro speranze possano costruire quel ponte di cui tanto abbiamo bisogno mentre i Paesi europei innalzano muri.
L'altro tema che affronteremo in questi quattro giorni insieme è quello delle dipendenze. L'attenzione verso questo fenomeno sembra essere calata eppure i numeri continuano a essere drammatici. Ai partecipanti non parleremo solo delle bellissime storie che, nell'arco di 50 anni di attività, abbiamo avuto l'opportunità di conoscere ma anche dei nuovi volti delle dipendenze, come ad esempio il gioco d'azzardo.
Insieme ai giovani che hanno pensato questo campus ci sono ragazzi che vengono dalla Sicilia, dalla Basilicata, dall'Emilia Romagna, dal Veneto, dalla Liguria e dal Piemonte. Saranno proprio loro a scrivere il diario di bordo di questa esperienza che ci accingiamo a vivere insieme presso la splendida cornice della Certosa1515. Buona lettura!
#DayOne: 14 aprile
A raccontarci la prima giornata è Erica, 20 anni, di Mestre, in provincia di Venezia.
Nel bellissimo panorama della Certosa siamo stati accolti da don Luigi Ciotti che ci ha invitato a prestare una particolare attenzione alla strada, le cui complesse e dolorose vicende devono spingerci "non solo a commuoverci ma soprattutto a muoverci".
I sogni e le speranze, se condivisi, diventano l'inizio di una realtà, la quale spesso aiuta a cambiare la vita di moltissime persone. Tre sono le parole chiave necessarie in questo percorso: condivisione, continuità e corresponsabilità.
L'opera del Gruppo Abele ha cambiato il destino di moltissime vite, ha restituito la speranza a chi l'aveva persa, un processo lungo ed estenuante che coincide però col dono più bello che si possa fare a una persona. Al seguito della presentazione fatta da don Ciotti e Beatrice, la vice presidente, il ristorante della Certosa ci ha deliziati con un'ottima cucina. Più tardi ognuno di noi si è presentato attraverso un gioco con le carte molto stimolante che ci ha permesso di condividere le nostre aspettative sul campus e su un futuro in cui non vogliamo smettere di credere
(erica)
#DayTwo: 15 aprile
La seconda giornata di campus ha un programma molto ricco: nella mattinata un esperto accompagna i ragazzi in un world-cafè tematico mentre nel pomeriggio la passeggiata narrativa fa incontrare persone e storie complesse, a volte fragili, ma sempre piene di speranza. La sera, infine, è dedicata alla tematica dell'azzardo: Simone, un operatore di comunità, e Claudio, ex giocatore d'azzardo patologico, attraverso dei semplici giochi matematici dimostrano che è proprio vero che il banco vince sempre: dunque, l'unica mossa vincente è quella di non giocare.
Abbiamo diviso anche il nostro diario giornaliero in tre parti, affidandone ognuna a dei ragazzi diversi.
A raccontare la mattinata sono Eleonora, una scout di 20 anni, e Deborah, studentessa universitaria di 23 anni.
Durante i lavori il tema della scelta è emerso con forza: i fattori esterni o interni possono influenzare, o addirittura pilotare negativamente, le scelte che ci troviamo a compiere. Tuttavia riteniamo che ognuno di noi dovrebbe sempre avere la possibilità e l'occasione di scegliere senza vincoli, per questo ci siamo trovate a riflettere sulle scelte politiche che ognuno di noi compie nella quotidianità.
La scelta è un libero atto di volontà per cui tra due o più proposte si manifesta o dichiara di preferirne una ritenendola migliore in base a criteri oggettivi o personali di giudizio.
La scelta è anche una valutazione delle possibilità che si hanno di fronte e viene compiuta in base ai desideri e alle necessità di cui si dispone; è finalizzata alla determinazione del proprio percorso, delle proprie esperienze e della propria formazione.
La scelta è altresì un processo di formazione o di consapevolezza che porta un individuo ad assumersi delle responsabilità riguardo a quello che vuole sia il suo percorso.
(eleonora e deborah)
Il diario del pomeriggio è affidato a Delia, che ha 20 anni e viene da Matera, e alla 21enne ligure Costanza.
Nel pomeriggio siamo andati a fare una breve ma intensa passeggiata nei dintorni della Certosa. Durante il percorso la voce di Fan Fei, Hakima e Sher, ha risuonato nel silenzio ma, soprattutto, dentro di noi. Abbiamo ascoltato storie di viaggi, di sofferenza, di cambiamenti e, in particolare, di impegno, determinazione e coraggio. Queste tre storie di immigrazione ed emigrazione, infatti, pur avendo caratteristiche e motivazioni diverse, hanno alla base la stessa forza vitale, una forza che ha consentito loro di raggiungere e portare avanti sogni e progetti.
Fan Fei racconta la sua esperienza di soggiorno in Italia per motivi di studio. Pur descrivendo la sua esperienza in Italia in termini positivi, sottolinea tuttavia come il pregiudizio sia sempre dietro l'angolo, e come le generalizzazioni e i luoghi comuni schiaccino la dignità delle persone annullandone l'individualità.
Akima racconta invece di un Italia degli inizi anni '90 ancora aperta ad accogliere persone straniere. Ma, nonostante l'accoglienza trovata, parla di come i suoi veri interrogativi riguardassero la sua identità e la difficoltà a scegliere tra due spazi, quello d'origine e quello d'arrivo, così lontani e diversi. Con la sua determinazione è però riuscita ad inserirsi in Italia e, soprattutto, a creare una rete di cui sentirsi parte e all'interno della quale costruire nuove cose.
Sher racconta di un viaggio lungo 6 mesi, a piedi, dal Pakistan all'Italia, tra difficoltà, detenzioni, imprevisti, pericoli ed inganni. Un viaggio che lo porta fino in Italia, dove oggi vive e lavora, dopo aver ottenuto il riconoscimento di asilo politico. Tre storie che fanno riflettere e che ci accompagneranno in questi giorni di riflessione e formazione, così come nella vita.
(delia e costanza)
A raccontare l'emozionante incontro della serata sono invece la piemontese Martina e Elena, che ha 22 anni e viene da Sanremo.
Stasera abbiamo incontrato Claudio e Simone: Claudio si definisce un ex giocatore d'azzardo patologico. Simone, invece, è stato suo operatore ed ora li lega una profonda amicizia. La storia di dipendenza di Claudio inizia nel salernitano quando la sera inizia a giocare con i colleghi come gesto di aggregazione. Da abitudine, pian piano, diventa un'ossessione incontrollabile che porta Claudio ad isolarsi sempre di più. La situazione degenera e, nonostante l'attività ben avviata, lascia tutto e si trasferisce a Rotterdam per cambiare vita, portandosi in valigia, però, anche le sue paure. Torna e, finalmente, per la prima volta si decide a chiedere aiuto: entra in una comunità residenziale dove fa un prezioso incontro con Simone, suggellando la loro unione con uno scambio di libri. Da quel momento inizia la "rinascita" di Claudio che lo porta a parlare con noi della sua storia fatta, per la prima volta, di emozioni. Attraverso tre giochi (il probabile non è certo, il gioco dei chicchi e il gioco del compleanno) abbiamo potuto realizzare che davvero il gioco d'azzardo è solo "un'illusione di benessere" e rimane un contenitore asettico, valvola di sfogo di ansie e paure da cui Claudio è riuscito ad uscire scegliendo la vita.
(martina e elena)
#DayThree: 16 aprile
Oggi è il giorno delle visite alle comunità del Gruppo Abele: i partecipanti di #iocivado sono stati divisi in quattro gruppi per visitare Aliseo, la struttura che si occupa di alcolismo e problemi alcol-correlati, la comunità per famiglie il Filo d'erba, la struttura mamma-bimbo di San Mauro e Cascina Tario che ospita persone tossicodipendenti in Hiv/Aids.
A raccontare l'esperienza di Aliseo sono Silvia, studentessa torinese di interpretariato, e la liceale di Frossasco Carlotta.
"Ciao, ho un problema di alcol e tossicodipendenza".
E' incredibile con quanta leggerezza e lucidità gli ospiti riconoscano il loro problema, quanto sia grande la consapevolezza che hanno della loro condizione e del loro percorso. Siamo partite senza sapere cosa aspettarci, un po' condizionate dallo stereotipo dell'ubriacone. Siamo rimaste alquanto sorprese: davanti a noi una decina molto al di là dei nostri preconcetti, una diversa dall'altra, ognuna proveniente da un contesto sociale diverso e con bagagli di vita differenti. Un particolare, apparentemente insignificante, ci ha colpite: gli occhi degli ospiti. Occhi buoni, luminosi, vogliosi di ritrovare la propria vita. Occhi che ti catturano e che ti fanno riflettere sulla bellezza del rimettersi in discussione, del prendere coraggio e lasciarsi tutto alle spalle. Questa bellezza l'abbiamo colta anche nell'abbraccio di un'ospite anziana e di suo marito, che ha scelto di non abbandonare la donna che ama e continuare a prendersi cura di lei. E' stato davvero un peccato ripartire così presto!
(silvia e carlotta)
Le impressioni e le sensazioni scatenate dal Filo d'erba sono raccontate da Rosario, che ha 19 anni e viene dalla provincia di Catania, e da Noemi, 19enne di Pieve di Cadore, in provincia di Belluno.
Oggi abbiamo avuto la possibilità di visitare il Filo d'erba, una comunità che si trova a Rivalta. Questa bellissima realtà ospita famiglie che vivono un disagio economico, offrendo una vita di comunità che si basa su un aiuto reciproco e su un clima semplice e amichevole. Al Filo d'erba non si fa tutto insieme ma tutto per tutti: i bambini hanno la possibilità di crescere nella condivisione, imparando fin da piccoli a non dare mai per scontati i bisogni altrui. I primi tempi, quando il vicinato non era contento dell'arrivo di una comunità, è stato lo stesso Filo d'erba a coinvolgere la popolazione di Rivalta: questo ci ha insegnato che per quanto sia grande una difficoltà, se la si affronta insieme niente è impossibile!
(noemi e rosario)
Marica, studentessa universitaria di Faenza, e Francesco, studente di Gattatico (Reggio Emilia), raccontano la loro esperienza a Cascina Tario.
La sveglia suona con tante aspettative e pensieri... Oggi con tanto entusiasmo siamo stati ospitati da una comunità di tossicodipendenti affetti da Hiv e Hcv. L'accoglienza è stata inaspettata, i ragazzi si sono dimostrati fin da subito aperti e curiosi. Dopo un'accurata visita guidata con Francesca abbiamo avuto modo di riflettere su quelle che sono le problematiche dei ragazzi della struttura, cioè la convivenza con la malattia legata alla dipendenza. Ciò che più ci ha sorpreso è come dietro queste storie personali di dipendenza ci sia un rifugio nella sostanza per sopperire a debolezze e traumi avvenuti in ambito familiare. Un altro aspetto che ci ha colpito è quanto la presenza positiva di un'equipe giovane e vitale possa influire nello spirito degli ospiti come vera e propria linfa vitale.
(francesco e marica)
Fatime ha 24 anni e viene da Biella mentre Camilla ha 20 anni e vive a Gattatico, in provincia di Reggio Emilia. Sono loro a raccontarci l'intensa esperienza della visita alla comunità di San Mauro.
La comunità di San Mauro è dedicata alle mamme e ai bambini e attualmente accoglie donne che vivono diverse forme di disagio: alcune sono vittime di violenza di genere, altre hanno fatto uso di sostanze e altre ancora vivono in un momento di fragilità sociale. La diversità di esperienze che ha condotto queste mamme qui è, a nostro parere, un grande vantaggio sia per le madri che per gli operatori: in questo modo si evita di catalogare le persone in base ai problemi e si presta attenzione ad ogni singola relazione mamma-bimbo. Ciò che importa di più agli operatori, infatti, è proprio il miglioramento di questa relazione.
Il pranzo insieme alle mamme e ai bambini è stato il momento che ci ha coinvolte di più emotivamente perché è stata una situazione carica di tensione. Inoltre, il fatto che con alcune ragazze non siamo riuscite a stabilire un contatto ci ha fatto sentire impotenti.
La vicinanza di età con le ospiti ci ha fatto però riflettere su quanto sia difficile essere allontanate dalla propria realtà benché comprendiamo il valore di un'esperienza in cui è possibile riscoprire un modo di stare in relazione con gli altri e con i propri bambini, per inserirsi in modo più positivo nella quotidianità. In ogni caso siamo davvero felici di aver fatto questa esperienza e di aver conosciuto persone che si impegnano e dedicano loro stesse a garantire un futuro migliore a queste donne e ai loro figli.
(camilla e fatime)
La serata è stata invece dedicata al tema della transessualità con la visione del film Transamerica e un bel dibattito coordinato da Ornella Obert, responsabile dell'area vulnerabilità e vittime del Gruppo Abele. A raccontarci la serata sono i giovani torinesi Alessandra e Lucas.
La transessualità in Italia è ancora un tabù, di cui spesso si conosce poco o niente. Il film "Transamerica" rappresenta l'allegoria di un viaggio verso una nuova sessualità ma anche verso la riscoperta di una genitorialità latente. Grazie all'incontro con due operatrici dello sportello "Oltre lo specchio" del Gruppo Abele, ci siamo fatti un'idea più diretta su cosa significhi vivere la propria sessualità e alle difficoltà che questo comporta. Abbiamo riflettuto sull'importanza e la necessità di andare oltre le etichette, di non ricondurre a una teoria specifica un comportamento che è semplicemente umano e quindi non confinabile a compartimenti stagni. Ancora oggi in Italia la transessualità è considerata come una malattia psichiatrica ma noi riteniamo che la vera malattia sia l'ignoranza.
(alessandra e lucas)
#DayFour: 17 aprile
Anche questa edizione di #iocivado sta per terminare... A tirare le fila della giornata conclusiva sono Andrea, giovane pubblicista di Fossano, la studentessa universitaria ligure Giusy e la liceale di Pinerolo Sara.
Quattro giorni volati via: è già tempo di fare le valigie. Prima, però, bisogna dare spazio alle conclusioni. Il gruppo immigrazione e il gruppo dipendenze hanno preparato un piccolo progetto riassuntivo delle esperienze vissute.
Il team che ha lavorato sulle migrazioni ha raccolto i punti più significativi per ciascuno scrivendo alcune frasi su delle strisce di carta che sono state poi srotolate formando una rete simbolica.
Il gruppo dipendenze ha invece creato un momento interattivo per riflettere sul concetto di stigmatizzazione: il nostro Rosario si è prestato a raffigurare il bersaglio dei pregiudizi e ognuno di noi gli ha fisicamente attaccato addosso un'etichetta negativa. Ci ha stupito il fatto che, nonostante non siano state date delle indicazioni, tutti i partecipanti al campus sono stati trascinati nell'idea di attribuire esclusivamente giudizi negativi.
Ciascuno di noi è arrivato a questo campus portando con sè il proprio bagaglio di aspettative, desideri, dubbi e curiosità. E ha avuto modo, alla fine, di allargare i propri orizzonti grazie ai preziosi momenti di condivisione. La sfida ora è portare queste rinnovate consapevolezze alla realtà esterna attraverso le nostre azioni quotidiane.
(andrea, sara e giusy)