Ancora oggi, nel 2016, sono ben 58 milioni i bambini che non vanno a scuola e che non hanno la possibilità di costruirsi un futuro. Inoltre sono quasi 6 milioni i minori che muoiono ogni anno per malattie facilmente curabili o prevenibili. A lanciare l’allarme è Save The Children nel rapporto Every last child ( fino all’ultimo bambino). Nel report si sottolinea come attualmente, nel mondo, sono circa 400 milioni i bambini discriminati per la loro etnia o religione: non è un caso che due terzi delle famiglie in povertà che hanno difficoltà ad accedere ai servizi di salute, al cibo e all’educazione fanno parte di una minoranza etnica.
Molti dei Paesi che hanno vissuto una forte crescita economica negli ultimi anni non hanno saputo tradurre questa crescita in condizioni di vita più eque per i bambini e in molti casi le disparità si sono addirittura acuite. Come in Nigeria, dove nonostante il reddito pro-capite sia quintuplicato negli ultimi anni, i bambini affrontano crescenti disuguaglianze per quanto riguarda l’accesso alla salute e all’educazione, soprattutto nelle zone più svantaggiate del Paese.
All’origine delle accresciute disuguaglianze ci sono anche i numerosi conflitti in corso, che hanno generato un numero di rifugiati senza precedenti e la conseguente crisi migratoria. Il 2014 ha visto il numero più alto di sfollati mai registrato: quasi 60 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro case, la metà dei quali sono bambini. Secondo i dati diffusi da Save the Children, oggi sono più di 145 milioni i bambini rifugiati nel mondo; solo uno su due di loro frequenta la scuola primaria e il tasso scende a uno su quattro per la scuola secondaria. Questi bambini affrontano ostacoli enormi nell’accesso alle cure sanitarie e al cibo di cui hanno bisogno, sono esposti a maggiori rischi di contrarre malattie infettive e trasmissibili e hanno livelli nutrizionali inferiori alla norma.
Sebbene siano stati compiuti progressi significativi nella riduzione delle disuguaglianze di genere, la discriminazione persiste in molte aree del nostro pianeta e a esserne vittime sono soprattutto le ragazze adolescenti più povere. In Afghanistan, ad esempio solo il 4% delle bambine in contesti famigliari di povertà completa l’educazione primaria. La violenza di genere e le gravidanze precoci non solo contribuiscono a innalzare il tasso di mortalità materna e infantile, ma limitano anche le opportunità di apprendimento delle ragazze. In Sierra Leone, uno dei Paesi con il più alto tasso di morti materne, le ragazze adolescenti costituiscono il 40% di questi decessi. Le bambine e ragazze povere sono anche maggiormente esposte a pratiche culturali ingiuste come il matrimonio precoce. Secondo le stime, nei Paesi in via di sviluppo, una ragazza su tre si sposa prima dei 18 anni e una su nove si sposa prima dei 15. In Tanzania, il 61% delle ragazze che non riceve un’istruzione si sposa prima dei 18 anni, mentre il tasso scende al 5% tra coloro che hanno completato gli studi secondari o superiori.
(valentina casciaroli)