Il 12 giugno è la Giornata mondiale contro il lavoro minorile, un problema tutt’altro che superato. Secondo le stime dell’Unicef, infatti, nel mondo ci sono più di 150 milioni di bambini intrappolati in impieghi che mettono a rischio la loro salute mentale e fisica. Il fenomeno del lavoro minorile è concentrato soprattutto nelle aree più povere del pianeta e contribuisce, paradossalmente, a renderle ancora più povere: i bambini che lavorano, infatti, non possono andare a scuola e restano per sempre vittime di questa spirale di sfruttamento e ingiustizia.
La tipologia di lavoro minorile più deprecabile è, senza dubbio, quella che mette a rischio la vita dei bambini, come il lavoro in miniera, a contatto con sostanze chimiche e pesticidi agricoli o con macchinari pericolosi. Secondo i dati dell'Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro) nel mondo 74 milioni di bambini sono impiegati in varie forme di lavoro pericoloso. Tra le peggiori forme di lavoro minorile rientra anche lo sfruttamento sessuale dei minori che coinvolge, sempre secondo le stime dell’Unicef, un milione di bambini ogni anno. Ma il lavoro di strada usa anche le mani di chi cerca di sopravvivere raccogliendo rifiuti da riciclare o chiedendo l’elemosina, fenomeno diffuso soprattutto nelle metropoli asiatiche, latino-americane e africane. Basti pensare che nella sola città di Dakar, in Senegal, sono 8.000 i bambini che vivono come mendicanti.
Tuttavia neanche il Nord del mondo può dirsi estraneo a questo tragico fenomeno. Nel rapporto Game Over pubblicato lo scorso anno da Save The Children si legge che in Italia sono almeno 340.000 i minori sotto i 16 anni che lavorano, 28.000 di questi sono coinvolti in attività molto pericolose per la loro sicurezza e salute. In Italia i bambini vengono impiegati perlopiù in attività di famiglia, nel settore della ristorazione, dell’artigianato e del lavoro in campagna. Secondo Save The Children occorre concentrare gli sforzi preventivi sull’età di passaggio dalla scuola media alla superiore, che vede in Italia uno dei tassi di dispersione scolastica più elevati d’Europa, pari al 18,2%.
(valentina casciaroli)