Al mondo, i bambini residenti nei Paesi in via di sviluppo che vivono sotto la soglia di povertà sono 385 milioni. A sostenerlo è il rapporto Ending extreme poverty; a focus on children coordinato congiuntamente dall’Unicef – l’agenzia dell’Onu che si occupa di diritti dell’infanzia - e dalla Banca mondiale. Secondo lo studio, a vivere in condizioni di povertà estrema – con meno di 1,90 dollari al giorno - sono il 19,5% dei bambini degli 89 Paesi presi in esame. In poche parole quasi uno su cinque: cifre che superano di molto quelle degli adulti (sono solamente il 9,2% gli over 18 che vivono in condizioni così precarie). E gli effetti della povertà sono “molto più dannosi nei bambini che negli adulti, visto che pregiudicano un normale e sano sviluppo del corpo e della mente” sostiene Anthony Lake, il direttore esecutivo dell’Unicef.
Se si analizzano i dati dal punto di vista geografico, si evince che la maggior parte dei bambini poveri (più del 51%) abita nei Paesi dell’Africa sub sahariana, dove quasi uno su due (48,7%) sconta gli effetti nefasti della miseria. Più di un terzo di loro (35,7%) vive invece in Asia, in particolar modo in India (30%), dove più di un bambino su cinque (22%) non ha una vita dignitosa.
Per quanto riguarda la distribuzione per età, più si è piccoli più è facile essere poveri: sono soprattutto i bambini dai 0 ai 5 anni ad essere colpiti dal fenomeno (il 9,4% sul totale della popolazione, pari a 122 milioni), seguiti dalla fascia 5-9 (9% sul totale, 118 milioni), da quella 10-14 (8,6% del totale, 99 milioni) e infine i 15-18 (il 5,1%, pari a 4 milioni).
È inoltre interessante notare che ben l’81% dei bambini poveri proviene da aree rurali, mentre solo il 19% di questi da aree urbane.
Tale rapporto segue il precedente studio della Banca Mondiale intitolato Poverty and sharing prosperity 2016. Taking on inequality, secondo il quale ci sono complessivamente 767 milioni di persone al mondo che vivono sotto la soglia di 1,90 dollari al giorno.
L’Unicef e la Banca Mondiale chiedono ai governi nazionali alcuni impegni per contrastare il fenomeno. Tra questi, rilevazioni periodiche per monitorare la povertà infantile e piani di sviluppo che mirino a eliminarla entro il 2030, politiche sociali e programmi di trasferimento diretto che aiutino le famiglie povere a sostenere le spese per i bisogni primari (sanità, cibo, istruzione), investimenti in settori strategici che possano aiutare i bambini ad uscire da condizioni di povertà strutturali, politiche volte a prevenire il ritorno alla povertà delle famiglie e dei bambini dopo malattie, carestie o crisi economiche. Ma la realtà è ben diversa: difficilmente i Paesi del terzo mondo applicano politiche di investimenti pubblici. Al contrario, i governi dei Paesi in via di sviluppo hanno sposato,negli ultimi anni il mantra neoliberista: Oxfam sostiene che dal 2008 al 2012, più della metà di questi Paesi ha tagliato la spesa per l’istruzione, e circa i 2/3 di essi anche quella per la sanità.
(giacomo pellini)