La ricerca di verità, oltre le convenienze

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Il nostro saluto a Luigi Bettazzi, Vescovo emerito di Ivrea e a lungo Presidente di Pax Christi, scomparso il 16 luglio. La sua voce profetica ha spesso illuminato anche il nostro cammino

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L’amicizia del Gruppo Abele con Luigi Bettazzi arriva da lontano. Un’amicizia fondata sul suo stretto legame personale con Luigi Ciotti, ma anche su una comune lettura del mondo e dei suoi problemi, in particolare rispetto al tema della pace da costruire attraverso la giustizia.
La sua è stata fino all’ultimo una voce lucida, profetica, rispettosa della verità e mai delle convenienze. Come da sempre siamo stati abituati ad ascoltarla.

Ricordiamo i suoi interventi ai primi corsi dell’Università della Strada, quando aveva sede sulla collina di Murisengo proprio accanto alla comunità di Cascina Abele. E poi tanti altri momenti di condivisione, anche su temi scomodi. Perché Luigi Bettazzi non si sottraeva mai al dialogo ed era capace di tenere sempre al centro della riflessione la persona e i suoi bisogni, non la dottrina con le sue rigidità. Fu così ad esempio quando nacque Davide e Gionata, l’associazione creata per interrogare la Chiesa sul rapporto fra omosessualità e fede: un percorso non semplice, che insieme a noi scelse di accompagnare.
Ricordiamo la sua presenza accanto a un altro grande amico, don Tonino Bello, che gli successe alla guida di Pax Christi con altrettanta profondità e autorevolezza, purtroppo per un tempo breve.

Oggi salutiamo Monsignor Bettazzi rievocando le sue preziose parole in occasione dell’ultimo incontro in cui ci ha fatto dono della sua saggezza, un corso di Casacomune del maggio 2019 presso la Certosa 1515 di Avigliana.

“Il primo problema è l’educazione, cioè il ‘tirar fuori’ dal di dentro dell’essere umano che cresce quella che è stata la sua prima intuizione, cioè di un mondo più grande e più vecchio di lui, e pieno di noi; contro la tendenza che abbiamo poi di ridurre il mondo alla dimensione dell’io, che diventa subito un mondo di dominio e di violenza, perché tutto quel che c’è nel mondo deve in qualche modo ritornare sotto di me.

Credo che dobbiamo tirare fuori l’intuizione iniziale in cui noi siamo nati, che significa renderci conto dell’ambiente in cui ci troviamo, e perché ci stiamo. Bisogna cercare di chiarificare e di spiegare, ma senza che questo soffochi l’intuizione che siamo figli dell’ambiente e siamo figli del noi, figli degli altri.

In questo si affaccia il tema della povertà. Sembra che i poveri siano fatti per essere aiutati, ma i poveri sono invece quelli che ci aiutano a capire che cosa è veramente l’uomo, perché chi è ricco e benestante valuta tutto sulla misura dell’io' tant’è vero che il mondo è fatto in modo che chi sta bene starà sempre meglio, mentre si moltiplicano quelli che invece diventano sempre più poveri.
Il povero è quello che ci insegna come dobbiamo valutare l’intuizione dell’apertura agli altri, del condizionamento degli altri. È importante quanto papa Francesco ne parli, a rischio di passare per ‘buonista’. Ci indica che il valore dell’essere umano nasce all’interno di un ambiente e di un
noi. In questo senso i poveri ci insegnano davvero cosa sia l’umanità: non chiusa sull’io, ma aperta all’ambiente e aperta e bisognosa degli altri. (…)

Rispetto all’insieme del mondo, io sono ottimista. Se il buon Dio alla fine lo ha fatto, credo ne valesse la pena. Impegnarci è sempre positivo: magari ci sembrerà di fare poco, che valga poco, ma col tempo qualcosa succederà. Se siamo al mondo è per contribuire a lasciarlo migliore di quando siamo nati.”