Sono nata il 10 giugno del 1946, 10 giorni dopo la nascita della Repubblica, votata anche dalle donne. Mi è sempre piaciuto pensare di essere nata in quella data così importanteMarina Panarese - autrice di un lascito solidale al Gruppo Abele
Chiedere a Marina Panarese di raccontare la sua vita significava proiettarsi all’improvviso in un mondo diverso da questo: un mondo curato, fatto di parole pesate. Un mondo dove nulla succede tanto per succedere, dove ogni gesto è un atto di responsabilità e dove la prima responsabilità è quella che ci unisce agli altri.
E così, quando le capitava di cominciare da principio, sentiva il bisogno di sentirsi lei per prima parte di una storia collettiva: una storia bella di lotte finite bene e diritti conquistati.
Perché a Marina non è mai piaciuta la solitudine. Nell’ultima lettera che ha scritto, di suo pugno, appena prima di morire (è successo come nelle canzoni di Fabrizio De André: in un bel giorno di primavera), descriveva la sua malattia come un momento atroce: non solo per la sofferenza fisica, per il senso di paura che precedeva ogni operazione, per le cure che le stavano fiaccando le forze ma perché vissuta senza il supporto dei suoi amici e delle sue amiche a causa della pandemia.
La vita di Marina è stata un condensato di tante vite: maestra elementare, assistente sociale, viaggiatrice instancabile, consigliera comunale, attivista per i diritti delle persone di origine straniera. Schierata dalla parte delle persone emarginate senza giudizio. Per Marina l’esclusione era il crimine, non l’escluso il criminale. Su questo terreno, la sua strada e la nostra si sono incontrate.
Ovunque c’era da costruire un ponte, ovunque nascesse un progetto di fratellanza, lì trovavi Marina, testarda e sorridente: in prima fila quando c’era ma metterci idee, proposte e fatiche, in ultima quando c’era da comparire.
Non l’avevano fermata un primo tumore, 8 cicli di chemio, due operazioni, una seconda diagnosi di una nuova malattia, altri due cicli di chemio e un’altra operazione. Fino all’ultimo istante, quando non era in ospedale era in giro, dalla periferia Sud a quella Nord di Torino, con la mascherina per evitare altri rischi, innamorata della vita e degli altri al punto tale da rispondere sempre “Bene” alla domanda “Marina, come stai?”.
Con la sua morte Marina non ha lasciato un vuoto: ha lasciato una traccia.
Nel testamento ha scelto di fare un lascito al Gruppo Abele. Sono tante le persone che, nelle ultime volontà, dispongono qualcosa o chiedono riconoscimenti. Marina non l’ha fatto. Forse perché sapeva che non avremmo potuto né voluto far altro che trasformare quel suo gesto nelle azioni che lei stesso avrebbe compiuto, indirizzandolo verso progetti di alfabetizzazione e di contrasto alle discriminazioni. Ed è anche grazie a lei, a quello che ci ha permesso di fare, se oggi sono tante le donne che possono seguire corsi di alfabetizzazione o continuare percorsi di tirocinio lavorativo.
Marina continua a essere un ponte solidissimo tra le vite sognate e quelle possibili.
Basta poco, una scelta importante, per cambiare il destino di tante persone. Il tuo lascito al Gruppo Abele è a favore di chi fa più fatica
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