Dal 24 al 31 ottobre si celebra la settimana per il disarmo, con la quale l'ONU intende richiamare i Paesi del mondo all'impegno contro la corsa alle armi. Negli ultimi anni i governi italiani hanno giustificato i tagli operati alla spesa pubblica con la crisi e col fatto che in passato abbiamo speso troppo. È successo con l’istruzione, con la cultura e le spese sociali. E' successo anche con la spesa militare.
Secondo i dati del centro di ricerca Stockholm International peace research insitute – Sipri – il budget che l’Italia ha riservato alla spesa militare è calato costantemente a partire dal 2008: si parla di una riduzione, in termini assoluti, di oltre 6 miliardi di euro: dai 28,156 milioni del 2008, ai 21,494 del 2015. Un calo della spesa in rapporto al Pil dello 0.4%. Sicuramente una buona notizia per chi chiede uno stop alla corsa agli armamenti, la drastica riduzione delle spese militari e investimenti in altri settori, quali sanità e istruzione.
Ma la situazione non è così rosea come sembra, per svariate ragioni. In primo luogo per il riarmo generale che sta avendo luogo in alcuni paesi europei. A causa delle pressioni russe ad est del continente, e delle tensioni tra la Russia e l’Ucraina, alcuni Paesi dell’Europa Centrale hanno aumentato consistentemente la spesa nel 2015: in primis la Lituania (+31,9%) seguita dalla Polonia (+21,8) e dalla Slovacchia (16,6%).
Inoltre, durante l’ultimo vertice Nato di Varsavia, il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, ha duramente criticato i tagli portati avanti dall’Italia, e ha chiesto ai Paesi membri una spesa totale che non vada sotto il 2% in rapporto al Pil. Se da una parte Bruxelles ci chiede rigore sui conti e non ci permette di sforare nemmeno per aiutare i terremotati, dall’altra, sempre Bruxelles – il quartiere della Nato si trova nella capitale belga – ci chiede di spendere di più in un settore completamente improduttivo e che non porta crescita, se non per i soliti noti.
In terzo luogo, abbiamo sì tagliato la spesa militare, ma assieme alle altre voci di spesa. Dal 2008 ad oggi la scuola pubblica è stata privata di quasi 10 miliardi di euro. Il Fondo per le politiche sociali, che aiuta le persone più bisognose, è stato ridotto del 92%, passando da quasi 1 miliardo di euro nel 2008 a 69, 9 milioni nel 2013. Il fondo per la non autosufficienza – 400 milioni nel 2010 – è stato completamente eliminato nel 2010. Senza parlare del fondo politiche per la famiglia, passato da 185 milioni del 2008 ai 31,8 del 2013. E questa lista potrebbe continuare all’infinito.
Tagliare la spesa militare per comprare armamenti inutili e difettosi e disinvestire, in generale, in un settore che non produce nulla è sicuramente positivo. Ma a questi tagli è giusto accompagnare investimenti nel welfare e nel settore sociale.
(giacomo pellini)