"Dismettiamo una volta per tutte la falsa dicotomia che oppone azioni e pensieri, fatti ed enunciati": Manuela Manera lo dice fin dall’introduzione di Fa differenza, un saggio che parla di parole e di come queste abbiano un peso significativo nel costruire la realtà, semantizzare i concetti, costruire da zero idee e anche relazioni. Le parole possono abbattere stereotipi o rafforzare oppressioni, mentre un discorso politico può accendere gli animi o diffondere disinformazione e allarmismi. Per questo chi ha interesse a mantenere lo status quo – denuncia Manera – derubrica ogni attenzione a un linguaggio più plurale a mero 'politicamente corretto' o ideologia woke: etichette generiche e spesso abusate per denigrare qualsiasi iniziativa volta a promuovere l'inclusività e combattere le discriminazioni. "La scelta delle parole è importante e tutte le persone hanno una grande responsabilità nel momento in cui costruiscono una comunicazione" spiega la ricercatrice in gender studies, docente e saggista. L'intervista che sintetizza il saggio, affronta i temi della comunicazione pubblica e il suo rapporto con il potere, la storia meravigliosa del politicamente corretto, la funzione culturale del riadattamento delle opere letterarie, fiabe in particolare, la necessità del rinominare qualcosa che ha già un nome con l'esempio della parola 'femminicidio' e l'utilizzo degli eufemismi come strumenti di tutela del potere. I valori nei quali ci identifichiamo vanno mostrati anche attraverso i nostri atti linguistici, per non rischiare uno scollamento tra quello che facciamo e quello che diciamo.
(rosita mercatante e toni castellano)