Sono passati 150 anni da quando il naturalista tedesco Ernst Haeckel coniò le parole ecologia ed ecologico. Il significato originale indicava lo studio e la conoscenza dei rapporti tra esseri viventi e ambiente circostante. Oggi anche la benzina è diventata ecologica. E il significato, mutato, tende a semplificare come buone le cose che sono ecologiche e la stessa scienza, l’ecologia, come uno studio dedito al bene e al sano. A riportare l’attenzione sul vero significato di ecologia, in Italia, ci hanno pensato, tramite un libro-conversazione in uscita il 16 novembre per le Edizioni Gruppo Abele, con il titolo Non superare la soglia, il giornalista Valter Giuliano e il professore, ex parlamentare, tra i primi promotori della cultura ambientalista in Italia, Giorgio Nebbia. A lui abbiamo fatto qualche domanda, anche in vista della Conferenza internazionale sul clima, in corso in questi giorni a Marrakech.
Oggi, nel 2016, dopo una storia ecologica di 150 anni, si può dire che l’umanità abbia preso coscienza di appartenere alla vita di un pianeta e non esserne monopolizzatrice?
La specie umana, come tutte le altre specie viventi, trae dalla natura le cose necessarie per vivere. A differenza delle altre specie, quella umana ha dei bisogni vitali speciali - quelli di abitare, di muoversi, di comunicare, oltre che di nutrirsi - che possono essere soddisfatti soltanto portando via al pianeta, in maniera monopolizzatrice, come dice lei, crescenti quantità di materie che, dopo la trasformazione in cose utili, e dopo l’uso, diventano ben presto scorie che alterano i corpi naturali. La consapevolezza di questo continuo impoverimento ecologico di origine antropica, della natura non mi pare che sia entrata nella scuola, nella politica.
Nel libro tratta di crescita di una specie, equilibrio ed estinzione, sopraggiunti certi rapporti numerici tra popolazione, disponibilità di cibo e produzione di rifiuti o inquinamento. La specie umana è in aumento da secoli. Quale fase sta attraversando ora?
Le risorse della natura sono grandi, anzi grandissime, ma non illimitate. Per tutte le specie viventi esistono meccanismi di autoregolazione che rallentano la crescita del numero degli individui, e quindi del loro potere di impoverire la natura, a mano a mano che scarseggia il cibo o lo spazio e l’acqua. Gli individui della specie umana non solo stanno aumentando di numero, ma si fanno sempre più esigenti nei loro bisogni materiali. Per limitarsi alle fonti di energia, il bisogno di muoversi, di comunicare, di abitare in maniera dignitosa, richiedono crescenti quantità di energia tratta da fonti che si impoveriscono.
In un avvicendamento di specie come quello descritto nel libro, quali sono le prospettive per la specie umana? Quale soglia non deve superare?
Relativamente pochi terrestri, diciamo un miliardo su sette, si appropriano dei due terzi dei beni naturali e generano i due terzi dei rifiuti e delle scorie. Almeno un miliardo di persone su sette non è in grado di soddisfare i suoi bisogni essenziali fisici, ma anche di libertà e dignità, beni che presuppongono la disponibilità di un tetto, di cibo, di acqua.
Solidarietà e giustizia non possono essere ottenute assicurando a tutti le merci e i beni dello stesso tipo e nella stessa quantità di quelli delle società opulente. Il pianeta non ha abbastanza carbone o campi coltivabili o acqua o minerali; i limiti fisici dello spazio e delle risorse impongono la necessità che i ricchi non superino una soglia di consumi e sprechi per assicurare ai poveri almeno un minimo di beni decenti. L’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, invita ripetutamente a interrogarci sui modi di consumo individuali e collettivi. Purtroppo la prospettiva di una soglia da non superare va contro le leggi dell’economia dei soldi che impone il possesso di più merci, con la conseguenza di lasciare alle generazioni future più rifiuti e meno risorse, un pianeta più impoverito.
I flussi migratori possono essere letti come sintomi dell’ecologia che lei descrive?
La vita ama la diversità, la biodiversità. I flussi migratori assicurano tale diversità nell’ambito delle società umane, portano nelle società vecchie e opulente una ventata di gioventù, l’esperienza e conoscenza di altre culture; bisognerebbe riconoscere l’immigrazione non come l’accoglimento di poveretti a cui fare la carità a condizione che scimmiottino i nostri consumi, ma come fonte di ricchezza e di speranza.
In questi giorni si sta tenendo a Marrakech la Conferenza internazionale sul clima. A seguito della recente ratificazione del protocollo di Parigi da parte di numerosi Paesi, cosa possiamo aspettarci da Cop 22?
Il crescente riscaldamento globale può essere rallentato soltanto se non si supera una certa soglia - alquanto controversa come appare dalle discussioni in corso in questa ventiduesima riunione di litigiosi governi - della concentrazione nell’atmosfera dei gas che alterano il clima. Ma tali gas finiscono nell’atmosfera in seguito alla produzione e al consumo di merci agricole e industriali e alla stessa decomposizione dei loro rifiuti. Per evitare di toccare i consumi, i governi si illudono di adottare soluzioni tecniche come fonti di energia meno inquinanti, altre pratiche agricole, la sepoltura dei gas inquinanti nel sottosuolo o negli oceani, passando così da una trappola all’altra. Io penso che la vera soluzione vada cercata in una revisione coraggiosa delle necessità umane, delle regole dell’attuale economia e dei rapporti internazionali capaci di proporre una tecnologia della speranza e della solidarietà.
(toni castellano)