Il 16 gennaio scorso le sale del Centro crisi Molo 18 si sono riempite di amici, venuti a festeggiare il suo primo anno di attività. O per meglio dire la riapertura con un progetto nuovo, rivolto a giovani sotto i trent'anni con problemi di abuso di crack, farmaci o altre sostanze. Una formula studiata insieme ai Serd e agli esperti di dipendenze per rispondere a situazioni di sofferenza sempre più gravi e inedite, difficili da gestire con gli strumenti del passato.
L'idea si colloca nel solco delle prime esperienze del Gruppo Abele, quando non esistevano terapie a cui fare riferimento, eppure si poneva urgentissimo il bisogno di dare una mano ai tanti giovani che cadevano nella dipendenza da eroina. Ma la realizzazione del progetto è calata nel presente e vuole essere una formula tanto innovativa quanto flessibile, pronta a trasformarsi via via che le storie delle ragazze e dei ragazzi accolti aiuteranno a focalizzare dove si origina il loro malessere, e cosa si rivela utile per affrontarlo.
Non era scontato che la proposta funzionasse, e continua a non esserlo. Eppure, racconta il responsabile del centro Mauro Melluso, i primi riscontri sono buoni: 42 i giovani già accolti in questo primo anno, con un'età media di 25 anni e una permanenza media di 6 mesi in struttura. Chi abbandona il percorso lo fa quasi subito. Gli altri restano, si mettono in gioco, e difficilmente poi ricadono nell'abuso. Insieme ai ragazzi, il Gruppo Abele ha seguito anche 20 famiglie, con colloqui a loro dedicati e momenti di avvicinamento e mediazione con i figli.
È stato un posto sognato e temuto. Avevamo paura che i giovani non si sarebbero lasciati agganciare e coinvolgere, non avrebbero accettato le necessarie limitazioni. Invece oggi è una struttura piena di vitalità, pur nelle sofferenze che accoglie. Non è sempre facile starci dentro, ma vogliamo ringraziare i Serd che ci hanno dato fiducia, e i ragazzi che sono passati e sono ancora qui, che ci consentono di entrare in punta di piedi nelle loro vite. La speranza è che non sia UN progetto, ma IL progetto di ciascuno di loro, per tornare a camminare nelle proprie scarpe.Mauro - responsabile Molo18
"Io faccio un mese oggi"; "Io sette mesi"; "Io quasi cinque mesi": i giovani misurano la permanenza in struttura come se parlassero di una specie di auto-gestazione, verso una difficile ri-nascita personale.
Tanti usano la parola gratitudine, tanti altri dicono di sentisi in famiglia, altri ancora esprimono sorpresa per essersi ambientati così facilmente. Si parla di sensibilità, di atmosfera, di sollievo: elementi impalpabili che si rivelano le armi di un progetto partito disarmato sul piano metodologico.
Esistono le terapie, ovviamente, e le tappe fissate insieme al Serd. Ma per il resto ciascuno costruisce passo passo, e il Molo si costruisce insieme a loro.
I miei mesi di percorso sono stati lunghi, ma anche brevi. La mia vita è cambiata in meglio, e tornare oggi qui è come tornare a casa. L'impatto emotivo quando entri in un posto come questo è forte. Ci sono momenti difficili, di stress, ansia, tristezza, spaesamento. È un luogo dove si sta anche molto male. Ma io dico ai ragazzi di crederci, perché quella sofferenza è un allenamento per stare meglio poi.Francesco - ex ospite
L'equipe del Molo è presente al completo, ma sono venuti anche tanti volontari e volontarie, operatori e operatrici di vari Serd di Torino e del Piemonte.
Siamo una equipe giovane, c'è poca differenza di età fra noi e i ragazzi ospiti. E io dico grazie a voi perché quello che facciamo lo costruiamo insieme, con la fiducia e il non-giudizio.Andrea - operatrice Molo18
Ogni volta che entro qui mi vengono in mente le facce delle persone che sono passate negli anni in questa struttura prima che diventasse ciò che è ora. Vedere i ragazzi che stanno già meglio dopo poco tempo è qualcosa di commovente e che dà coraggio. Complimenti!Nadia - Serd Onda1
Come spesso accade quando si fa volontariato, non si sa se si porta qualcosa agli altri, ma venendo qui di sicuro si riceve molto. Marco - volontario Molo18
La cucina, gestita dai ragazzi, ha lavorato a pieno regime per sfornare pizze, omelette e altre prelibatezze per la festa. Ci sarà tempo per smaltire le calorie in eccesso nella palestra, che grazie alla presenza di un'allenatrice volontaria offre una bella valvola di sfogo e anche un'occasione per allenarsi alla disciplina.
Il recupero della salute fisica e psichica è del resto l'obbiettivo primario, che oguno insegue a modo suo attraverso le attività sportive, artistiche, formative o ludiche proposte per riempire le giornate. A modo suo ma anche insieme agli altri, nei momenti di riflessione in gruppo o nella semplice convivenza quotidiana. Perché, ribadisce Melluso: "la relazione è il nostro strumento di lavoro principale".
Lunga vita al Molo!