Il made in Europe esiste davvero? Perché di quell’etichetta, e ancor più del made in Italy noi ci fidiamo, ma non sempre questo è una garanzia. Le aziende si difendono: “è tutto legale”, ma solo grazie a scorciatoie o perché in questi paesi le condizioni dei lavoratori hanno standard molto bassi. Da questo parte Change your shoes, iniziativa europea che promuove una filiera etica, sostenibile e trasparente. Diciotto organizzazioni (quindici europee, tra cui le italiane Abiti Puliti, FAIR e Centro Nuovo Modello di Sviluppo, e tre asiatiche) che «attraverso la ricerca sulle condizioni ambientali e di lavoro nella produzione di scarpe e cuoio» cercano di elaborare «proposte per eliminare le violazioni dei diritti umani che siano alla base di un confronto tra cittadini europei, decisori politici e grandi imprese». Il dossier Il lavoro sul filo di una stringa è frutto di interviste a 179 lavoratori di 12 calzaturifici dei sei paesi dell’Est dove lavorano almeno 120 dei 300 mila lavoratori del cuoio in Europa. Molti di loro percepiscono un salario minimo fra i 140 e i 156 euro mensili (quando per mantenere una famiglia sarebbe necessario averne almeno il quadruplo), molti altri rinunciano a norme di sicurezza per poter produrre di più e più velocemente, perché il lavoro è pagato a cottimo, senza contare il lavoro straordinario non retribuito.
Il tutto è, sì, legale, ma non per questo eticamente accettabile. La campagna di sensibilizzazione portata avanti da Change your Shoes punta proprio a far conoscere il problema, a rendere consapevoli i cittadini, perché solo da una presa di coscienza collettiva che parta dal basso si può ottenere un cambiamento da parte di tutti quei marchi, così che arrivino a fare oltre che belle scarpe, anche scarpe buone.
(monica ambrosino)