Valorizzare l’utilizzatore di sostanze stupefacenti riconoscendolo come “portatore di conoscenza” invece che come “portatore di problemi”, è il primo passo nella promozione delle strategie di empowerment, strategie alla base dei metodi descritti nel “Manuale europeo del supporto fra pari” scritto nel 1994 da un gruppo di ricercatori, consumatori ed operatori europei coordinati dal compianto Franz Trautmann. Di questo e di riduzione del danno si è parlato al Gruppo Abele in una due giorni dedicata a varie figure professionali socio-sanitarie. Dall’esperienza internazionale della Rete di riduzione del danno (Harm Reductional International), fino agli interventi di peer support realizzati dalle Asl sul territorio piemontese, il convegno ha provato a guardare al futuro e all’utilizzo delle nuove tecnologie come ulteriore strumento di aiuto per le persone con dipendenza da sostanze.
“L’empowerment è un paradigma salutare”, afferma Lorenzo Camoletto, operatore sociale dell’Università della strada (Gruppo Abele) in apertura del corso su “Empowerment e uso di sostanze oggi”, “perché cerca di scardinare la relazione gerarchica tra chi ha bisogno di aiuto e chi l’aiuto lo fornisce, per puntare su una relazione di corresponsabilità. Un processo lungo e trasversale, che è stato applicato in contesti e con attori differenti negli ultimi 20 anni, dimostrandosi uno strumento solido e dai risultati provati, ma al tempo stesso ancora innovativo e in grado di guardare al futuro”.
Lo stato dell'arte a livello globale a livello internazionale delle politiche di empowerment è stato descritto da John Peter Kools, portavoce di Harm Reductional International: a un incremento dell’uso di sostanze nel mondo (+137% in Usa dal 2000, +64% in Uk dal 2014, 6000 morti per overdose in Europa occidentale) è seguito un aumento delle politiche di riduzione del danno in molti Paesi, anche in quelli in via di sviluppo, dove spesso però droghe sono spesso criminalizzate e paradossalmente le pene previste per i consumatori sono in alcuni casi pesantissime. In Indonesia, ad esempio, è stato recentemente concesso l’uso del metadone in carcere, mentre in America Latina i governi portano avanti politiche di regolamentazione del mercato degli stupefacenti. Segnali chiari che anche negli stati paladini del proibizionismo e della “war on drugs” le strategie più efficaci in termini pragmatici sono quelle che vanno oltre l’ideologia dello stigma sociale. Sempre Kools sottolinea l’importanza del peer support, il sostegno tra pari. “Nel caso del consumo di sostanze, i peer supporters sono persone che vivono situazioni di illegalità ed emarginazione e che sviluppano, per sopravvivere in questo contesto, competenze e capacità manageriali che possono essere applicate in un contesto costruttivo, anziché di mera sopravvivenza”.
E' seguito l'atteso dialogo sull'empowerment fra Leopoldo Grosso psicologo e psicoterapeuta, esperto fra i più riconosciuti a livello nazionale ed europeo sui temi dell'uso di sostanze psicotrope e Fabio Folgheraiter ordinario di Metodologia del servizio sociale dell’Università Cattolica di Milano e già autore di “Tossicodipendenti riflessivi. La teoria relazionale del recovery narrata dai protagonisti”. Un rischio da considerare nei progetti di supporto tra pari è stato sottolineato da Folgheraiter: “è possibile che nel rapporto tra pari si inneschino dinamiche di ulteriore dipendenza. Ad esempio di dipendenza dal “potere” stesso che il rapporto paritario implica”.
Entrambi i protagonisti del confronto hanno sottolineato come indispensabile una continua ridefinizione dei servizi e degli operatori professionali per quanto riguarda le dinamiche di potere che caratterizzano le relazioni di aiuto.
In questo percorso di valorizzazione della persona e de-colpevolizzazione del consumo un ulteriore ambito di intervento deve essere sicuramente il web: Leopoldo Grosso, presidente onorario del Gruppo Abele, ha spiegato che sempre più persone, grazie all’anonimato che garantisce, cercano aiuto in rete, per non esporsi in prima persona.
Secondo Grosso manca in Italia un vero e proprio movimento di depenalizzazione e de-criminalizzazione del consumo, sul modello dei Social Club spagnoli, fondamentali per portare avanti pratiche di mutualismo, di advocacy e per coprire spazi di intermediazione con la politica. “Nel nostro Paese - ha spiegato - mancano azioni in questo senso sia “dal basso” che dall’alto. La politica in particolare è completamente sorda di fronte a questi problemi”.
Un indicatore un po' preoccupante per quanto riguarda la capacità di auto-organizzazione e di azione politica orientata all'advocacy è la debole risposta dei malati di epatite C (endemica fra i consumatori per via endovenosa di eroina e cocaina) ai limiti di accesso alle terapie innovative che per ragioni economiche rendono inesigibili i diritti alla cura di molte persone.
(giacomo pellini)