L’Italia, seppur in maniera contenuta, torna a crescere. Ma resta un Paese diseguale, diviso tra un Centro – Nord benestante e un Sud in difficoltà, e dove la forbice tra giovani e anziani continua ad allargarsi. Questo è quello che emerge dal quarto rapporto dell’Istat sul benessere e lo sviluppo sostenibile (Bes), un indice che si ottiene incrociando oltre 130 indicatori economici: una misura complementare al Pil più che sostitutiva, non solo subordinata alla produttività italiana.
“Se ci si basa sui normali dati economici, questi dicono che c’è una ripresa, ma è contenuta e non compensa affatto gli anni della crisi: se andiamo a guardare bene, siamo ben al di sotto dei valori del 2009” dice al Il Manifesto Enrico Giovannini, ex ministro del Lavoro ed ex presidente Istat, tra i principali ideatori dell’indice Bes. In poche parole siamo sopra ai livelli medi del 2013, ma l’orizzonte di crescita del biennio 2009 – 2010 è ancora ben distante. Certo, tra il 2014 e il 2015 si registrano dei segnali di miglioramento rispetto al drammatico biennio 2012 – 2013: nell’ultimo anno è cresciuta la quota di persone che esprimono “soddisfazione elevata” per la vita nel complesso (dal 23,5% del 2013 al 25,4% del 2015). Aumentano leggermente il reddito pro-capite (+1% dal 2014 al 2015) e la spesa per i consumi (+1,6%), ma la diseguaglianza rimane ai livelli del 2013, la più alta del decennio. Senza dimenticare che l’Italia è il Paese europeo in cui le disuguaglianze sono cresciute di più rispetto all’inizio della crisi.
Aumentano anche le persone a rischio povertà, dal 19,4% del 2014 al 19,9% del 2015: il 7,6% della popolazione vive nell’indigenza estrema. In termini assoluti, parliamo di 4,6 milioni di persone: non si registrava un dato così alto dal 2005. Le famiglie più a rischio sono straniere o vivono al Sud, e hanno due o più figli.
Negli ultimi anni, tutte le regioni del Paese sono state penalizzate dalla crisi. Ma è sopratutto il Mezzogiorno a scontarne maggiormente gli effetti, sia a livello sociale che economico: se l’11,7% delle persone vive in famiglie con redditi precari, a Sud la percentuale quasi raddoppia: 20,3%. La spaccatura è evidente anche se confrontiamo il tasso di abbandono scolastico, che si attesta nel 2015 al 14,7%, sopra alla media Ue (11%): 11,6% nel Centro – Nord, 19,2% nel Meridione, dove la quota di giovani tra i 15 e i 24 anni che non studiano né lavorano è doppia rispetto al Nord (35,3% contro 18,4%).
Anche dal punto di vista generazionale assistiamo ad una profonda frattura: l’occupazione aumenta sia tra gli over 50 (+2%) sia tra i giovani tra i 20 e i 34 anni, ma solo dello 0,2%. Parliamo comunque di mansioni precarie, retribuite o con voucher (1,3 milioni del 2015, con il 32% dei prestatori under 25) o con bassi salari.
La quota di 25-64enni con un diploma di istruzione superiore si aggira intorno al 60%, ma resta al di sotto della media europea di ben 16 punti. Stesso discorso vale per i laureati tra i 30 e i 34 anni: sono il 25% della popolazione, contro il 38% della media Ue.
L’Italia rimane un Paese longevo, ma si interrompe la prospettiva di vita media: nel 2015 siamo scesi a quota 82,3 anni rispetto agli 82,6 del 2014.
Tra i segnali positivi si registrano l’aumento della quota di occupati tra i 20 e i 65 anni (il tasso di occupazione è del 60%: era il 62,8% del 2009) e un aumento dei lavori a tempo indeterminato (+4,1%).
La crisi, insomma, sembra allentare la morsa sul nostro Paese. Ma ha lasciato molte vittime sul terreno. E in piedi tutte le vecchie problematiche.
(giacomo pellini)