“Una rivoluzione vittoriosa ma non trionfale, una sconfitta politica ma non definitiva, e per questo ha condensato attorno a sé memorie diverse e conflittuali, a volte aspramente contrastanti, che ne hanno impedito la rimozione o la calma museificazione”. La definizione, quanto mai a proposito, è di Adriano Ballone. E Chiara Colombini, storica, ricercatrice all’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea Aldo Agosti, la mette in chiusura del suo recentissimo Anche i partigiani, però…terzo volume della collanaFact checking di Laterza, curata da Carlo Greppi. Un libro intenso, nato con l’obiettivo dichiarato e per niente nascosto di smantellare i luoghi comuni che accerchiano, oggi, il dibattito sulla Resistenza, depotenziato dalla rinascita inquietante di posizioni anti-antifasciste. Con il 25 aprile alle porte, abbiamo voluto parlarne con lei, per capire quali siano i rischi del diffondersi di queste idee e quanto mettano a rischio un patrimonio di valori fondante come quello della lotta partigiana. La storica piemontese sarà a Binaria, il centro commensale del Gruppo Abele, l'11 maggio per l'evento Libri aperti, pugni chiusi, in dialogo con Carlo Greppi ed Eric Gobetti.
Chiara Colombini, è possibile che nel 2021 sia ancora necessaria una difesa dei valori resistenziali e della stessa lotta partigiana?
"Domanda retorica dall’inquietante risposta: è possibile. E lo è nella misura in cui sopravvivono, amplificate dagli strumenti di comunicazione di massa contemporanei, una serie di posizioni sfacciatamente denigratorie nei confronti della Resistenza. Sono posizioni semplicistiche, portate avanti da detrattori che per lo più si limitano a reiterare luoghi comuni, come tirare in ballo l’autenticità delle idee o della figura stessa dei partigiani (spesso paragonati a ladri di polli o criminali sbandati) o puntare sull’usurato stereotipo della Storia parziale, scritta dai vincitori. Sono visioni insofferenti nei confronti della lotta partigiana e del suo modo di tramandarla, che considerano monolitico, blindato, addirittura autoritario. Visioni che lamentano l’impossibilità del confronto franco, ma che in effetti vivono alla stregua di un’opposizione tra tifoserie contrapposte: rossi di qua e neri di là. Pensiamo a Matteo Salvini che, nel 2019, da ministro dell’Interno, in merito alle celebrazioni del 25 aprile, disse di non essere interessato al derby fascisti-comunisti: basta solo questo esempio per rendersi conto che la battaglia in difesa dei valori resistenziali non è affatto, e non lo è nemmeno oggi, una battaglia di retroguardia.
I detrattori temono - diceva lei - che la memoria della lotta partigiana sia blindata. E invece che memoria è la memoria della Resistenza?
"Una memoria tutt’altro che blindata: è piuttosto una memoria fragile, figlia di un movimento non omogeneo, cementato per qualche mese dal comune sentire antifascista. Un movimento che è amalgama di posizioni diverse, talora lontanissime tra di loro, già durante i mesi difficili della lotta, e che alla lotta avevano aderito con idee differenti e differenti entusiasmi. Ci hanno pensato la ricostruzione politica del dopoguerra e la Guerra fredda a sgretolare ogni unità di intenti. E se esiste una memoria dei vincitori, questa convive con la memoria grigia di larga parte della società che tra il ’43 e il ’45 non prese posizione e con la memoria degli sconfitti. Ben lungi dal credere che questa sia stata messa a tacere, negli ultimi anni, oltre a improbabili teorie (come l’equiparazione tra partigiani e repubblichini), ha prodotto un’ampia memorialista e una cospicua produzione bibliografica, che nel corso del tempo ha puntato piuttosto evidentemente a indebolire il valore monumentale della Resistenza antifascista".
Ma, dato per assodato che non può far bene alle fondamenta costituzionali del nostro Paese, a chi effettivamente giova questo indebolimento?
"Il discorso non è nuovo e, di volta in volta, di epoca storica in epoca storica, ha portato giovamento, in termini di consensi, a varie formazioni politiche. Tolto il confronto durissimo del dopoguerra, in uno scenario polarizzato da comunisti e democristiani ma abitato anche da partiti come il Qualunquista (che forse per primo si è fatto portatore di istanze anti-antifasciste), per non dire della continuità amministrativa con il fascismo, lo spartiacque sono stati gli anni Novanta, al tempo del rimestamento politico figlio di Tangentopoli. Comparivano sulla scena politica nuove forze in rottura forte con l’arco costituzionale scaturito dal Cln che trovava legittimazione nell’aver aderito alla lotta partigiana. La Resistenza e l’antifascismo, d’improvviso, smettevano di essere paradigmi fondativi della Repubblica. Viene da sé che, in questo scenario di ridefinizione dell’equilibrio politico, in questa ricerca di valori accomunanti nuovi, gli attacchi alla Resistenza trovano molte orecchie pronti ad ascoltarli e case preparate ad accoglierli".
Fazioni, posizioni, vicende personali, memorie: sono parti rilevanti del discorso, ma comunque parziali. E allora come mai, in tutto questo pensamento e ripensamento, non si è riusciti a mettere un punto fermo storico sulla vicenda resistenziale che, nel salvaguardare il sacrificio e le scelte di quanti vi presero parte, custodisse una volta e per sempre verità storica e ideali di libertà?
"È questa la domanda delle domande. In verità c’è fin da subito l’attenzione alla ricostruzione, con una vasta produzione storiografica che si affianca alla memorialistica, per non dire dell’interesse della letteratura. Grazie soprattutto agli istituti storici della Resistenza si mettono a sistema testimonianze e documenti, che fanno da fondamento alla ricerca. Ma con il passare del tempo cambiano le condizioni e il dibattito politico orienta il dibattito o lo evita. Diventa sempre più difficile far passare nell’opinione pubblica i risultati delle ricerche, la voce dello storico, per quanto attendibile, finisce per essere flebile, sotterrata sotto il rumore di mezzi comunicazione più eclatanti, come i social. Insomma, i motivi sono molti e complessi, e oggi ritengo sia determinante ritornare alla ricerca e alla conoscenza storica, perché questo è il modo migliore per evitare di cadere nelle falsificazioni della Storia, nelle riscritture fatte solo a beneficio di una parte o nelle riduzioni a verità storica di singoli episodi spesso decontestualizzati. Non è facile. Al contrario, è complesso. Ma la battaglia merita di essere combattuta".
(piero ferrante)