Con un'associazione linguistica tipica dei nostri tempi si deciderà di chiamarla probabilmente Generazione Covid, come fu per i Millenials, nati a cavallo del cambio di millennio: un’etichetta legata all’evento storico torna utile per analizzare un fenomeno sociale.Ma ora che sembrano riaprirsi molte attività e riaccendersi le possibilità che la pandemia ha bruscamente interrotto quali contraccolpi possiamo immaginare per i giovani e giovanissimi che meno di altre generazioni avevano sviluppato l’abitudine alla socialità?I dati della IV edizione dell’Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia curato da Fondazione Cesvi dicono che da ottobre 2020 a oggi sono aumentati del 30% i tentativi di autolesionismo e suicidio da parte di adolescenti. La chiusura di scuole, palestre, centri ricreativi, l’impossibilità di riunirsi, confrontarsi, sviluppare contatti fisici, la chiusura in casa di famiglie di ogni classe sociale e l’aumento delle conflittualità e con esse dei rischi di maltrattamento dei più vulnerabili, come i minori, quanto condizioneranno la nuova società che faticosamente esce dalla pandemia? Lo abbiamo chiesto a Paolo Rabajoli, psicologo e psicoterapeuta dell'età evolutiva dello Sportello TiAscolto.
Da un osservatorio favorevole e dopo poco più di un anno dal primo lockdown, come definirebbe, se c’è stato, l’effetto sui bambini e i ragazzi della pandemia e delle restrizioni sociali che questa ha portato?“Penso che la pandemia e i suoi effetti rappresentino uno sfondo fuori dall’ordinario per qualunque punto di osservazione su ciò che accade nella nostra comunità. Le conseguenze hanno coinvolto vite e abitudini di tutti, me compreso, e ciò ha reso molto più evidente rispetto al solito come gli effetti sui bambini e sui ragazzi di ciò che accade loro sia fortemente legato a ciò che accade nel contesto famigliare e sociale intorno a loro.Credo sia ancora presto per identificare gli effetti della pandemia. Sicuramente i più giovani si sono trovati a toccare con mano un mondo adulto in difficoltà, che ha mostrato loro le fragilità, le preoccupazioni, le incertezze, le contraddizioni e le fatiche che inevitabilmente stiamo attraversando. Aspetti che fanno parte della vita ma che, tendenzialmente, cerchiamo di tenere nascosti ai più piccoli, con l’idea di proteggerli. Tuttavia per i più piccoli assimilare e adattarsi ai cambiamenti è ciò che contraddistingue la loro fase evolutiva e ciò li rende maggiormente flessibili nel passare attraverso situazioni che per noi adulti comportano una messa in discussione di dati di realtà e esperienza già consolidate”.La tutela della generazione più giovane in relazione alla pandemia è stato dibattito pubblico per lunghi mesi. Nel nostro Paese si è preferita la strada che ha portato alla chiusura delle scuole, delle materne, dei nidi, dei parchi gioco e delle attività educative in generale. Quali sono gli effetti indesiderati, in chiave psicologica, derivanti da queste scelte per i ragazzi?“Ogni singolo ragazzo così come ogni famiglia è stato toccato da effetti indesiderati di diversa intensità, derivanti da fattori di tipo socio-economico, familiare e individuale. Non è semplice dare una risposta univoca, paradossalmente ci sono bambini e ragazzi che hanno trovato vantaggi secondari dal non frequentare la scuola o altre occasioni di esposizione sociale, e hanno ben accolto la possibilità di restare rintanati.Provando tuttavia a generalizzare, al netto dell’impatto delle chiusure sugli aspetti di apprendimento, penso che per molti ragazzi i lockdown abbiano rappresentato una marcata interruzione all’esplorazione del mondo e della vita sociale, che la pandemia ha reso un luogo percepito come pericoloso, e alla possibilità di instaurare e coltivare quei legami esterni al contesto famigliare che permettono confronto e contatto sia con altri adulti che con i pari età. Questo senza considerare tutte quelle situazioni in cui il contesto famigliare non rappresenta un ambiente protetto ma una fonte di problemi, che la chiusura di luoghi e attività educative ha esacerbato, così come le situazioni già di fragilità si sono acuite in conseguenza alle chiusure di spazi che hanno funzione di supporto individuale e sociale”.Sono aumentate le domande di cura e sono cambiate le manifestazioni del disagio dei più piccoli?“Durante il primo lockdown, per quanto riguarda la nostra realtà, abbiamo avuto diversi mesi in cui non ci sono state richieste: abbiamo pensato che probabilmente a fronte della straordinarietà degli eventi e dei conseguenti risvolti pratici, le famiglie fossero prese dal gestire l’emergenza. Considerando anche che probabilmente le difficoltà dei più piccoli, anche laddove presenti ed espresse, in quel momento non venissero lette come sofferenze psicologiche individuali, né di conseguenza tradotte in una domanda di cura psicologica. Una fase successiva è stata invece caratterizzata da una ripresa delle domande, come avvenuto anche nel discorso pubblico dove l’impatto psicologico della pandemia è stato portato al centro del dibattito, con il rischio opposto di psicopatologizzare eccessivamente i disagi legati al protrarsi della pandemia.Per i più piccoli le domande che incontriamo sono spesso legate a difficoltà insorte o amplificate a livello famigliare nel fronteggiare la pandemia. Al contempo credo che ci siano situazioni che non incontriamo legate a quei nuclei in difficoltà dove c’è meno spazio per cogliere e accogliere i sintomi.L’aumento di domande ha però certamente riguardato gli adolescenti che si sono trovati fortemente limitati in una fase di vita in cui la modalità a distanza, anche attraverso i social, è limitante rispetto alla spinta naturale verso la ricerca di esperienze al di fuori del contesto famigliare. Teniamo anche conto che le perturbazioni emotive dell’età rendono più intenso ogni vissuto, tra cui anche la sofferenza e le modalità con cui viene espressa”.Le misure sanitarie attuate per limitare la diffusione del virus hanno riguardato anche la fascia più giovane della popolazione. Va da sé che lo stress sia cresciuto anche per bambini e ragazzi, tuttavia la nostra società tende a vedere il disagio e la sua capillarità come una questione personale e clinica. Come intervenire su questa tendenza, considerando che i più giovani saranno anche i cittadini di domani?“È una bella sfida, per tutta la collettività e in particolare per noi psicologi che, in questo periodo storico, siamo consapevoli di quanto i cittadini, e in un certo senso l’intera società, ricerchi nella nostra figura la soluzione tecnicistica e individuale a forme di disagio che sono palesemente frutto di dinamiche sociali e scelte politiche. Per questo la nostra sfida è di accogliere e rispondere con i nostri strumenti a queste domande. E contemporaneamente interrogarci sulla quota di sofferenza e disagio che incontriamo individualmente e che risiede nel corpo sociale, e riportare fuori dai nostri spazi di cura queste domande, coinvolgendo i cittadini, soprattutto le generazioni future, come parte attiva nel rendere le nostre città luoghi salutari. A tal fine in vista delle prossime elezioni amministrative che si terranno a Torino, come Sportello TiAscolto abbiamo redatto un documento da recapitare alle diverse forze politiche incentrato proprio su quanto la politica possa fare per generare contesti di vita che producano salute mentale e benessere psicologico per tutte le fasce della popolazione, con particolare attenzione ai più giovani e alle famiglie”. (toni castellano)