Com'è possibile trasformare un tema scientifico in un argomento di propaganda politica? Lo spiega Stella Levantesi, giornalista e fotoreporter con collaborazioni su prestigiose testate nazionali e internazionali, in un libro-inchiesta dedicato a indagare una delle maggiori mistificazioni e contro-narrazioni della storia. Il tema è quello del cambiamento climatico e il volume, edito da Laterza, si intitola I bugiardi del clima. In occasione della presentazione che si è svolta a Binaria – Centro commensale il 18 giugno scorso, le abbiamo fatto alcune domande.
Nel suo libro, i "bugiardi del clima” sono i poteri politici ed economici interessati a negare l’emergenza climatica per non mettere in discussione pratiche produttive e di consumo lucrose in termini monetari e di voti. Ma che ruolo hanno i singoli cittadini? Come mai le falsità diffuse in questo ambito attecchiscono così facilmente?
"In primo luogo c’è un problema di rapporto del pubblico con la scienza, che varia da Paese a Paese. Negli USA il negazionismo climatico è un fenomeno istituzionalizzato, in Europa molto meno. In generale però c’è una diffusa mancanza di alfabetizzazione scientifica nella popolazione, che non aiuta a sviluppare strumenti critici di interpretazione delle notizie. Carente è anche il ruolo delle agenzia intermedie, che potrebbero assumere una funzione divulgativa, traducendo il linguaggio scientifico e rendendo certi temi più fruibili per il grande pubblico. Mi riferisco in particolare al mondo del giornalismo, che non sempre mette in campo competenze adeguate.
C’è poi anche un aspetto psicologico da tenere presente: certe cose sono difficili da accettare, perché ci obbligherebbero a reazioni conseguenti, a cambiamenti nello stile di vita. Cadiamo così in trappole cognitive che non ci fanno riconoscere il problema come urgente e giustificano la nostra inazione".
Le ultime grandi manifestazioni internazionali alle quali abbiamo assistito, prima che la pandemia svuotasse strade e piazze, sono state quelle dei giovani attivisti per il clima. Quanto quel tipo di attivismo sta contribuendo a cambiare la mentalità sul tema? E quanto si riduce invece a una specie di moda, che non incide sulle politiche né sui comportamenti concreti dei cittadini?
"Il rischio di ridurre quelle mobilitazioni, che sono state diffuse ed efficaci, a una moda giovanile, viene piuttosto dal modo di trattarle a livello mediatico, con una spettacolarizzazione che non scende in profondità nei temi. I giovani sentono il cambiamento climatico come un problema vero, sanno che se non agiamo subito ne vivranno sulla pelle le conseguenze, in un tempo non lontano. Per questo io credo che il loro attivarsi sia sincero, ed è stato fondamentale per smuovere le coscienze dei cittadini di tutto il mondo, oltre a innescare pressioni a livello macroscopico, obbligando le istituzioni a rimettere in agenda il tema".
L’altra faccia delle bugie sono le dissimulazioni. Può spiegarci che cosa si intende per greenwashing?
"La pratica del greenwashing consiste nel dare una parvenza di sostenibilità alle imprese senza modificarne sostanzialmente il business, ma solo attraverso azioni pubblicitarie, di facciata. È qualcosa di ingannevole verso il consumatore e verso il pubblico in generale, che viene usato anche in chiave di propaganda politica. Fra le aziende che vi ricorrono troviamo oggi anche grandi gruppi editoriali, che dedicano iniziative all’approfondimento dei temi ambientali, magari però in collaborazione con industrie estrattive fossili".
Che strumenti ha oggi la politica per imporre un cambio di passo reale all'economia, e in particolare alle grandi multinazionali?
"La prima azione dovrebbe essere quella di interrompere i sussidi al settore dei combustibili fossili, che incide in larga parte sull’aggravarsi della crisi climatica. Dovrebbe inoltre abbandonare le misure-palliativo, come l’uso del gas naturale quale carburante-ponte nella transizione verso le fonti rinnovabili. E poi bisogna avere il coraggio di mettere il tema del cambiamento climatico al centro di qualsiasi agenda, perché le sue ricadute non sono solo di tipo ambientale, ma riguardano tutti i fronti: dalle politiche energetiche a quelle sul lavoro, dalle migrazioni alla salute pubblica, alla giustizia sociale".
(cecilia moltoni)