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Ducan Okech è nato e cresciuto in Kenya, prima in un villaggio rurale poi in una baraccopoli di Nairobi, nella miseria più estrema. A 9 anni ha trovato accoglienza in una scuola-istituto per bambini orfani, dove fra le altre cose si è avvicinato all’orticoltura. Sempre a scuola ha conosciuto un giovane volontario italiano, che ha visto le sue doti e lo ha spinto a tentare l’iscrizione, tramite borsa di studio, nella prestigiosa Università del Gusto di Pollenzo, la scuola fondata da Slow Food. Oggi, terminato il percorso di studi, lavora in una cooperativa agricola biologica in Sicilia.
Ha raccontato la sua storia nel libro Tieni il tuo sogno seduto accanto a te, scritto per Giunti insieme a Maria Paola Colombo, che presenterà mercoledì 30 giugno alle 18 a Binaria Centro Commensale. In attesa di incontrarlo di persona, l’abbiamo intervistato.
Perché ha scelto di scrivere la sua storia?
"Per trasmettere un messaggio. Anzi, due. Il primo alle persone che vivono un momento difficile, che si trovano senza risorse e senza affetti. Anch’io ho avuto una vita dura, durissima, fin dall’infanzia, ma oggi ho trovato una strada che mi rende felice, e persone che investono su di me. Penso che la mia storia possa offrire speranza, perché le opportunità a volte arrivano e si deve essere pronti a coglierle.
Il secondo messaggio me lo ha affidato Carlo Petrini. Lui aveva l’abitudine di invitare a pranzo, a Natale, gli studenti dell’Università del Gusto che non tornavano dalle loro famiglie. È stato in quell’occasione che ha conosciuto il mio percorso, e ne è rimasto colpito. Mi ha spinto a scrivere anche per far capire a tanti ragazzi che hanno la passione per il cibo ma vedono la scuola di Pollenzo come un istituto per ricchi, che se ci sono capacità e passione quello è un posto dove si può studiare e crescere anche partendo da zero".
Le svolte nella sua vita avvengono attraverso alcuni incontri fortunati. Pensa di poter diventare a sua volta l’incontro fortunato di qualcuno?
"Quello che desidero è restituire l’aiuto che ho ricevuto da tante persone, creando opportunità per altri. Ora mi sto formando, sto facendo esperienza qui in Italia. Ma più avanti vorrei tornare in Kenya e aprire un laboratorio per la trasformazione delle materie prime agricole che dia lavoro ai giovani del posto. A me sono stati offerti gli strumenti per cambiare la mia vita e io so che quando parti dal basso, anche se hai talento e voglia di impegnarti, è difficile andare avanti se qualcuno non ti concede fiducia e un’opportunità. Mi piacerebbe allora creare lavoro, un lavoro che dia dignità. Senza istruzione, senza un lavoro rispettoso dei diritti delle persone, non c’è dignità e non c’è sviluppo.
Prima di arrivare alla cooperativa Valdibella ho cercato un’occupazione a lungo, in Italia e in altri Paesi europei. Mi sono purtroppo confrontato con un razzismo strisciante che, malgrado il mio titolo di studio prestigioso, mi ha chiuso molte strade. Qui in Sicilia invece ho trovato grande fiducia e un approccio etico che non riguarda soltanto il cibo biologico, ma anche il rapporto con le persone, con i lavoratori".
Cosa le piace e cosa no del rapporto che abbiamo in Europa col cibo?
"In Kenya e più in generale in Africa c’è la parte della produzione agricola, ma mancano le competenze nella trasformazione dei prodotti, ciò che li rende conservabili e aggiunge loro valore economico. In Europa ho imparato queste competenze, che vorrei in futuro portare nella mia terra d’origine. Qui ho capito quanto sia importante sviluppare ricette per trasformare e conservare il cibo in modo genuino e gustoso.
In Africa non c’è ancora una cultura dell’alimentazione. Le persone non hanno idea di cosa sia il cibo sano. Il che è anche comprensibile, perché quando il problema principale è la scarsità del cibo è difficile preoccuparsi della sua qualità. Bisognerebbe fare in modo che tutti abbiano di che nutrirsi, ma poi anche insegnare come nutrirsi al meglio. In Europa la gente è più consapevole di ciò che mangia, ma avete un enorme problema di spreco delle risorse. Una cosa che mi fa stare male, perché io la fame l’ho vissuta, so cosa significa non avere neanche il necessario e vedere il cibo buttato è tremendo. Anche questo fa parte della cultura dell’alimentazione: imparare a non sprecare".
(cecilia moltoni)