I dati contenuti nell’ultimo rapporto Oxfam sulle diseguaglianze, An economy for the 1%, Un’economia a servizio dell’1 per cento, tracciano un quadro impietoso dello distribuzione mondiale delle risorse economiche. Un pianeta letteralmente spaccato in due, ma con una delle due parti nettamente più ampia dell’altra che è invece infinitamente più povera. Il dato più allarmante ci dice che l’1% più ricco della popolazione mondiale ha in mano un patrimonio superiore a quello del restante 99%. Una tendenza inarrestabile che, tradotto in numeri ancor più precisi, racconta di 62 famiglie di supermiliardari più ricche di 3,6 miliardi di persone. Basti pensare che, nel 2010 (appena sei anni fa, tutt’altro che un’era storica) ci volevano 388 miliardari per arrivare al patrimonio della metà più povera della Terra; dato poi sceso nel 2014 a 80.
Di più: dall’inizio del XXI secolo, alla metà più povera del pianeta è andato appena l’1% dell’aumento di ricchezza, mentre l’altra metà finiva nelle tasche dell’1% più ricco. Fenomeno, questo, lampante nei paesi più poveri, ma che si registra in verità ovunque, con il 10% più disagiato che ha visto aumentare il proprio salario di appena tre dollari all’anno negli ultimi 25 anni (emblematico il dato degli Stati Uniti dove, a fronte di un aumento medio salariale attestato al 10.9%, si è registrato un balzo degli emolumenti di un amministrazione delegato vicino al 1.000%). Dati alla mano, secondo l’Oxfam, se le diseguaglianze non fossero cresciute, in questo lasso di tempo 200 milioni di perone sarebbero uscite dalla condizione di povertà assoluta.
“Ci troviamo in un presente in cui la povertà non colpisce solo le categorie storicamente più deboli, ma anche chi lavora, come dimostrano i 4 milioni di lavoratori poveri del nostro Paese”, il commento di Giuseppe De Marzo, coordinatore nazionale della campagna Miseria ladra, promossa da Libera e Gruppo Abele proprio per elaborare strategie di contrasto alla povertà. “Ceti popolari e ceti medi – ragiona De Marzo – hanno pagato e stanno ancora pagando i costi della crisi determinata da un modello economico insostenibile sul piano sociale e ambientale, ormai a servizio di una finanza criminogena e fuori da qualsiasi controllo democratico”. In quest’ottica, secondo De Marzo, venirne fuori è particolarmente complesso, soprattutto alla luce del fatto che “la lotta alle diseguaglianze non rappresenta una priorità della politica”. Per questo, chiosa, “continuiamo a proporre misure concrete ed immediate come l'introduzione anche in Italia di un Reddito di Dignità e chiediamo alla Comunità Europea di escludere dal patto di stabilità le spese sociali, vero e proprio strumento di contrasto a diseguaglianze, mafie, corruzione e terrorismo”.
(piero ferrante)