Dicembre è tempo di convivialità, di incontri con le persone care per condividere la gioia delle feste. Molti di questi incontri, si sa, avvengono intorno a un tavolo… Inclusi i tavoli delle 15 pizzerie a marchio Berberè, specialiste degli impasti leggeri e delle materie prime d’eccellenza. Ma che in questo caso eccellono anche in generosità.
I fondatori del brand, che da tempo ha un rapporto di amicizia col Gruppo Abele, hanno immaginato un modo per estendere oltre la cerchia dei loro affezionati clienti lo spirito di condivisione del Natale.
Nasce così Natale è ancora più buono se ne condividi una fetta, l’iniziativa solidale attraverso la quale Berberè, per tutto il mese di dicembre, donerà parte dell’incasso di ogni locale alla Drop House, il nostro centro diurno per donne e bambini in condizione di marginalità sociale.
Non solo! Grazie alla cartolina abbinata a ogni coperto, i clienti stessi potranno contribuire a rendere speciale il Natale di chi frequenta la Drop House come spazio di protezione e promozione di diritti e competenze. I fondi raccolti serviranno a finanziare i corsi di italiano, di formazione professionale (ad esempio quelli della sartoria InTessere), di psicomotricità e tanto altro. In cantiere per il 2022 anche la creazione di una cucina popolare per lo scambio di tradizioni gastronomiche e l’educazione alla salute alimentare.
Il legame con Berberè, nato nel 2016 in occasione dell’apertura della prima sede torinese della pizzeria presso gli spazi di Binaria – Centro commensale, “si arricchisce di un'iniziativa importante, per la quale siamo grati” spiega Luigi Ciotti, Presidente del Gruppo Abele. Che continua: “Gli amici di Berberè hanno deciso di scommettere su un progetto che ci sta molto a cuore. La Drop House del Gruppo Abele dà casa ai sogni e ai bisogni di tante donne, investe sui loro talenti e offre risorse educative per i figli. Accogliamo loro, per alimentare la libertà, la dignità e i diritti dentro la società tutta. Offrire opportunità di crescita culturale e professionale alle donne svantaggiate, soprattutto quando straniere e prive di altre reti di supporto, significa infatti nutrire comunità più sane, più giuste, più consapevoli”.