In inverno viene istintivo passare meno tempo all’aperto. Sfuggire il freddo. Trascorrere più tempo a casa, al caldo e con tutti i comfort che possiamo garantirci. Istintivo sarebbe anche riflettere su chi comfort, calore e riparo, con queste temperature, non ne ha.
Per scelta o per emergenza, in Italia si stima vivano senza dimora più di 50mila persone.
Il numero proviene dall’indagine Istat del 2015, svolta in collaborazione con l’Osservatorio fio.PSD, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Caritas italiana.
Proprio fio.PSD, la Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora, nel triennio 2019-2021 ha portato avanti un percorso di accompagnamento, formazione e monitoraggio per seguire lo sviluppo dei progetti previsti dall'Avviso 4/2016, misura con cui il lo Stato finanzia interventi per il contrasto alla grave emarginazione adulta e alla condizione di senza dimora. Ne ha pubblicato recentemente i risultati in un report che titola Il Cambiamento è possibile.
Abbiamo chiesto a Caterina Cortese, curatrice del monitoraggio fio.PSD, quali cambiamenti sono già avvenuti e quali sono in atto, per l’aiuto alle persone senza dimora.
Cinque anni fa stanziando 50 milioni di euro, l’obiettivo del ministero per le Politiche Sociali era di far superare ai territori l’approccio emergenziale e adottare l’Housing first. Cos’è l’Housing first e come lo hanno tradotto i territori che avete monitorato?
"Housing first è un approccio di intervento innovativo nel contrasto al homelessness che prevede l’inserimento in casa delle persone senza dimora con l’affiancamento immediato e un supporto sociale da parte di un’équipe. La sfida lanciata dall’Avviso 4 è stata raccolta dai territori che hanno ricevuto le risorse per finanziare i progetti. I 31 enti territoriali coinvolti hanno attivato 77 servizi e realizzato 141 interventi di contrasto alla grave emarginazione. Le persone senza dimora raggiunte da questi interventi sono state 22.098. Nei percorsi di Housing first attivati da 27 Comuni ben 575 persone hanno trovato casa.
C’erano territori già maturi e strutturati dove le risorse sono andate a potenziare servizi esistenti. Laddove servizi non c’erano il fondo ne ha creati. E qui sta la vera novità. Al posto di aprire nuovi dormitori le città hanno usato le risorse per creare percorsi dedicati alla persona, progetti sperimentali di piccola scala. Una svolta culturale secondo cui ogni persona sarebbe stata seguita con un progetto specifico e ragionato. Non più con un’unica risposta, uguale per tutti, con il panino e la coperta".
I dati evidenziano come il sistema di intervento per homelssness stia cambiando. Quali sono i cambiamenti più evidenti?
"I cambiamenti più evidenti sono culturali. Attivare attorno alla persona senza dimora servizi inclusivi, personalizzati, realizzati in rete tra pubblico e privato, è il vero cambiamento che, in questo settore di marginalità, il nostro Paese non aveva ancora visto".
Stiamo uscendo dall’inverno e dal periodo che molti Comuni italiani definiscono emergenza freddo. Alla luce dei cambiamenti indicati nel Report di monitoraggio, ha ancora senso chiamare questa fase dell’inverno in questo modo?
"Da anni l’espressione emergenza freddo non ha senso. Rispetto all’homelessness occorre sempre più parlare di programmazione di lungo periodo per avere delle soluzioni che incidano sulle problematiche della vita in strada per tutto l’anno. Dalla residenza alla necessità di una casa, dalla salute di chi vive in strada alla prevenzione al finire in strada e al rimanere in strada. Sono molte le necessità.
L’emergenza freddo come risposta dei Comuni ai rischi dell’inverno è obsoleta e superata. Purtroppo oggi i posti in accoglienza che tutelano le persone dal freddo non sono sufficienti nelle grandi città ed è anche chiaro che non sono nemmeno la soluzione, visto che tutti gli inverni qualcuno tragicamente per strada muore, di freddo. Perché alcune di queste persone non trovano nei dormitori la risposta ai propri bisogni e ai propri disagi".
Quali sono gli obiettivi futuri, condivisi con i Comuni e gli enti del Terzo Settore, considerando l’arrivo dei fondi del PNRR?
"Occorre lavorare su centri servizio che prendano in carico, facciano ascolto attivo della persona, progettino insieme a lui gli interventi, attivino alcuni diritti essenziali come la residenza anagrafica garantita, il fermo posta per la documentazione e la reperibilità, l'inserimento abitativo, l'accompagnamento sociale, il lavoro di comunità. Insomma sarà necessario ripensare i servizi tradizionali ma in un’ottica inclusiva e di lungo periodo, capace di sganciare la persona dal circuito assistenziale, laddove possibile.
C’è tantissimo da fare. Eppure quando lavori da tanti anni nei servizi sociali e noti un cambiamento culturale, la rigenerazione di un metodo di lavoro, la riappropriazione da parte di un ente pubblico di una responsabilità che aveva delegato al Terzo Settore e al circuito dell’assistenza, allora puoi dire che il cambiamento sta diventando concreto".
(toni castellano)