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L'iniziativa de Le Terre Attraverso il Mare quest’anno ha avuto una regia di gruppo. Ogni realtà che ha curato una “sosta”, in questo viaggio attraverso l’idea di accoglienza, ha inventato, allestito, coordinato la propria parte a modo suo. Ed è andata benissimo. Io non ho dovuto fare altro che assemblare e valorizzare quello che altri hanno pensato, semmai riempiendo dei vuoti e creando costanti che rendessero leggibile il discorso della manifestazione.
Il discorso era impegnativo e avrebbe potuto inciampare nella retorica e nei luoghi comuni. Ognuno l’ha riproposto cercando di evitare questi rischi. Le associazioni di cinesi, marocchini, peruviani, rumeni, gli artisti esterni, le persone del Gruppo Abele, i volontari, sono stati capaci di rappresentare con grande efficacia il gusto, la necessità e la difficoltà di accogliere. Anche, in molti casi, l’emergenza di accogliere, ma sempre con il distacco di chi preferisce capire e far capire anziché commuoversi e basta. Il pubblico si è fatto prendere da questo modo di affrontare i problemi, non ha rifiutato il divertimento, la curiosità, il gioco, l’emozione ma, anzi, se ne è servito per entrare negli argomenti. Ne è prova il fatto che, nei momenti che richiedevano grande attenzione, come gli interventi degli esperti, si fermava, ascoltava e al termine usciva commentando. E si fermava, attento, a sentire le testimonianze di chi parlava dei suoi drammatici viaggi per cercare cibo, pace, lavoro.
Nell’edizione di quest’anno de Le Terre Attraverso il Mare abbiamo cercato di presentare delle situazioni, drammatiche non soltanto a proposito di migranti, che richiedono una riflessione attenta. Se si dovesse proseguire, secondo me sarebbe il caso di invitare il pubblico ad approfondire le ragioni, le cause spesso profonde o lontane, perfino globali, magari storiche, che creano queste situazioni.
Cause in merito alle quali è indispensabile prendere delle posizioni nette.
(claudio montagna, regista de Le Terre Attraverso il Mare)