Alla fine degli anni ‘90 gli ospedali Sant’Anna e Regina Margherita di Torino in collaborazione con il Gruppo Abele hanno dato origine al Progetto Mamma+, per accompagnare e assistere donne e ragazze in gravidanza affette da un virus che ormai da una decina di anni terrorizzava l’Occidente: l’HIV.
Oggi, alle prese con un altro virus e col pensiero dolce della festa della mamma che si avvicina mi è inevitabile lasciar comporre ai ricordi un ragionamento. Ragionamento che parte dalla valutazione di alcuni momenti unici nella vita. Momenti come la gravidanza e la nascita. In cui una donna diventa madre. In cui la solitudine diventa difficile da tollerare.
Sono molte le donne con la pancia che cresce, in questi mesi marchiati dal Coronavirus. Donne che entrano in ospedale da sole per fare le visite pre-parto e le ecografie. Donne che talvolta partoriscono anche da sole, mentre i padri aspettano fuori, o entrano solo per l’ultima fase del travaglio, o, come oggi si usa, assistono seguendo la nascita da un monitor. La nascita, il momento vitale. Vissuto senza strette di mano, senza abbracci, senza amorevoli incoraggiamenti. Senza poter mescolare sudori e lacrime; senza incrociare sguardi di timore e di gioia condivisa. La vita senza contatto.
Certo, poi finalmente a casa la coppia si ricompone, ma non arrivano le nonne, gli amici, gli zii ad aiutare, ad alleggerire le prime settimane in cui devi prendere confidenza con quell’esserino che ti suscita emozioni profonde e intense, ma anche senso di inadeguatezza, stanchezza. Nessun appoggio esterno.
Diventare madre è un evento straordinario ma anche traumatico, sempre, perché rappresenta un cambiamento profondo per ogni donna.
Ma diventare madre quando stai vivendo un momento difficile perché temi per la tua salute e per quella di tuo figlio, oppure perché il tuo compagno ti ha lasciata, o perché arrivi da lontano e ti trovi in un paese straniero; perché stai per perdere la casa, perché sai di non poter contare sulla vicinanza della tua famiglia, delle tue amiche, è una condizione molto, molto delicata e non può essere ignorata.
Non l’hanno ignorata vent’anni fa i medici e le assistenti sociali degli ospedali Sant’Anna e Regina Margherita e gli educatori del Gruppo Abele quando hanno cominciato a lavorare al Progetto Mamma+. Quando era finalmente certo che con la terapia antiretrovirale, per una donna sieropositiva in gravidanza era possibile ridurre drasticamente il rischio di trasmettere l’infezione al bambino o alla bambina che cresceva il lei.
In quegli anni erano molte le quasi mamme che arrivavano con una storia di tossicodipendenza alle spalle negli ambulatori del Sant’Anna. Storia che aveva segnato la loro vita rendendole spesso sole e fragili, ma con un immenso desiderio di riscatto. Anni quelli in cui in Italia erano sempre di più le donne provenienti da paesi dell’Africa alle quali veniva diagnosticata, spesso a gravidanza inoltrata, la sieropositività. Anch’esse giovani donne, prevalentemente sole, terrorizzate dal timore di trasmettere la malattia al proprio figlio.
Mamma+ nasce con il preciso obiettivo di garantire una buona compliance terapeutica della madre affinché la/il bambina/o non entri in contatto con il virus. Ecco come si spiega l’unione del lavoro di medici ed educatori: perché quando il paziente che hai di fronte è fragile, vulnerabile, solo, multiproblematico, è elevato il rischio che la compliance alla cura non sia di facile accesso e costante. Ma oltre al supporto teso a garantire la salute della coppia madre-figlio/a, Mamma+ punta a offrire l’aiuto necessario alla donna per riconquistare l’equilibrio utile per riappropriarsi della propria vita, aiutandola ad affrontare e a trovare possibili soluzioni alle difficoltà che ha incontrato. E che incontrerà.
Posso dire che sono tante, e tutte diverse, le storie che abbiamo scritto a più mani in questi venti anni di Mamma+ con le donne che abbiamo avuto l’onore di incontrare: donne italiane, ma soprattutto donne straniere provenienti dalla Nigeria, dalla Costa d’Avorio, dal Senegal, dal Camerun, dal Marocco, dalla Romania, dal Kenia, dalla Croazia, dalla Moldavia, dal Perù, dal Brasile.
Questa Festa della Mamma+ è per loro e per tutte le donne che affrontano la maternità in questo periodo. Mai da sole.
(patrizia ghiani, responsabile Area Povertà e inclusione sociale)