Era il6 novembre del 2012 quando l’Italia si dava una legge contro la corruzione cheper la prima volta introduceva nel nostro ordinamento la parola (e glistrumenti della) prevenzione. L’intuizione a monte èsemplice: il malaffare si annida meno laddove le scelte pubbliche (come sispende, come si organizza la cosa comune, come si decide) sono conoscibili emonitorabili da tanti.
Che cosa è accaduto in questi ultimi 10 anni? Allo stesso tempo: molto e poco.
Molto per quanto riguarda la cittadinanza attiva. Espressioni come monitoraggio civico, controllo dal basso, comunità monitoranti, vigilanza tramite i dati e simili sono divenute frequenti nel vocabolario e nella cassetta degli attrezzi a disposizione dei cittadini. Il principio della democrazia monitorante va radicandosi soprattutto nella testa e nelle prassi delle generazioni più giovani e meno abituate ad accontentarsi della fiducia a prescindere.
Poco per quanto riguarda le istituzioni. Basti pensare al fatto che la decisione sul come orientare 235 miliardi di euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza sia avvenuta a porte chiuse e senza avere i principi di trasparenza e rendicontabilità come stella polare di tutta la faccenda.
Che quel “poco” sia una realtà lo dimostrano anche i dati della seconda, recente, edizione del report RimanDATI, curata dal Gruppo Abele con Libera e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino. Se si analizza infatti anche il solo micro-mondo dei beni confiscati, ci si rende conto di come non esista un sistema di accountability che permetta di sapere davvero che fine fanno i patrimoni sottratti ai mafiosi. Di fatto, che sei comuni su dieci siano inadempienti quanto a trasparenza, evidenza come le “cose dei dati” si stiano prendendo sottogamba.
Ora: se è difficile ottenere un solo documento che racconta che ne è dei beni confiscati, quanto lo sarà avere online una pluralità di dati che ci informeranno sul come gli Enti spenderanno le enormi risorse del Pnrr?
Di fronte a tali evidenti e a volte sconfortanti segnali, ciò che ci è immediatamente disponibile è il rendere più forte il fronte della società civile monitorante. A tal fine, Scuola Common 2022, dal titolo Per il bene di chi?, in coerenza con la sua mission di empowerment vuole consegnare, alla pluralità di comunità monitoranti che intercetta o fa nascere, strumenti concreti, replicabili, a misura di territorio e in grado di generare un impatto.
Che siano indagini partecipate di monitoraggio, griglie di valutazione di progetti, azioni di campaining locale o richieste di strategie di governo aperto, Scuola Common vuole trasferire queste competenze affinché un’anticorruzione diffusa, mite nella forma ed efficace nella sostanza, permetta di generare un cambiamento oltremodo necessario.
Insomma, la società civile dovrà metterci le risorse che le istituzioni hanno tralasciato di impegnare. E, siccome la buona volontà non basta in materie così complesse, queste risorse devono diventare competenze. La Scuola Common 2022 ha questo obiettivo. Diffondere capacità e esperienze per il monitoraggio del bene comune.
(leonardo ferrante, responsabile progetto Common - comunità monitoranti)