Quarantamila persone, per una manifestazione antimafia, a Foggia non sono semplicemente una cosa rara: sono una cosa unica.
L'evento centrale della ventitreesima Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, che s'è celebrato nella città pugliese, porta in dote, con sé, una partecipazione che va al di là delle attese.
Fa rumore, eccome, questa esplosione di partecipazione. Fa un rumore così forte che copre le bombe che, di notte, da anni, sventrano le serrande dei negozi e mai nessuno sa chi possa essere stato. Fa rumore anche se, appena una notte prima del corteo, l'auto di un ex consigliere comunale, Giuseppe D'Urso, è stata data alle fiamme come gesto di sfregio contro il suo impegno di riqualificazione d'un'area verde (Parcocittà, dove s'è tenuto anche un incontro con Luigi Ciotti).
Fa rumore e sorpresa questo serpentone che è così lungo che, mentre la testa già è in piazza Cavour, arrivata a destinazione, la coda è partita appena da pochi minuti dal Comune, in corso Garibaldi.
Tanta partecipazione perché davvero in piazza ci sono scesi tutti. Dalle associazioni, pronte a sfidare anche senza ombrelli una giornata che di primavera ha solo l'ubicazione sul calendario (visto il vento freddo e la pioggia battente) alle scuole elementari, medie e superiori; dai sindacati con le pettorine agli scout con l'immancabile bandierone della pace; dagli amministratori di Avviso Pubblico alle cooperative sociali impegnate sui beni confiscati.
Per un giorno a Foggia si fa festa mettendo in campo l'impegno. E poco importa se per un anno la festa, quella in rosso, quella patronale, quella che celebra la Madonna dei Sette Veli, sia stata anticipata di un giorno, su volere del vescovo. Foggia la brutta di Moravia, Foggia la cattiva dei giornali, Foggia quella agli ultimi posti nelle graduatorie sulla qualità della vita, sta là, in piazza, con le bandiere schiaffegiate dal vento e le gole incassate nelle sciarpe tirate fuori dagli armadi all'improvviso. Manifesta un orgoglio a cui fanno fatica a credere anche i militanti di Libera. E che poi, alla fine della giornata, don Luigi Ciotti celebrerà così: "Dovete essere fieri di questa terra, orgogliosi di tutta questa meraviglia!".
Per esempio Daniela Marcone, vicepresidente di Libera e di Libera anche responsabile del settore memoria, sorride e non sa più a chi chiedere conferma delle cifre. "Secondo te quanti siamo?". Puoi risponderle mille, diecimila o centomila, puoi dirle qualunque cosa e comunque leggerle negli occhi la contentezza di una comunità che, finalmente, mostra a tutti di saper stare accanto. A lei, come a tutti gli altri familiari delle vittime che non conoscono la verità. O, peggio, la conoscono ma non c'è nessuno che la renda ufficiale.
E pure questo non è fatto scontato. Tutt'altro, fino a oggi è stato vero il contrario.
Per questo i numeri, in questo 21 marzo, non sono una questione di forma, di zeri in più o in meno. Sono una prova, sono un sospiro di sollievo, sono una promessa che ancora del buono su cui progettare c'è. Il buono sono i ragazzi, che don Ciotti ha chiesto di "non tradire". Il buono è il patrimonio naturale e culturale che a disperderlo è dramma. Il buono è in quell'applauso che si alza quando il presidente di Libera e fondatore del Gruppo Abele imputa "a noi", ovvero alla società civile in senso più alto dell'attributo civile, le "responsabilità della forza della mafia. Più noi siamo deboli, più loro potenti".
Che è come dire che la città è pronta ad auto-sfidarsi, a mettere in gioco la sua parte migliore contro la protervia di una mafia che continua a sparare forte. La primavera viene anche così, pure se piove, fa freddo e il vento pare non finire mai.
(piero ferrante)