I ricordi del fiume: è questo il titolo del film dedicato agli ultimi mesi di vita di una delle più grandi baraccopoli d'Europa situata nella città di Torino, vicino al fiume Stura. La pellicola, firmata da Gianluca e Massimiliano De Serio, è stata presentata fuori concorso alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 2015 e dal 21 aprile è nelle sale cinematografiche italiane.
I registi hanno ritratto le vite di oltre mille persone che vivono in un campo rom in attesa di essere sgomberate: la macchina da presa ha impresso lo sguardo di chi si affaccia, con paura, lacerazione e speranza, verso un futuro incerto.
Ad eccezione di casi di cronaca clamorosi, come la tragica vicenda Reggiani o il grottesco esempio dei Casamonica, la comunità rom non suscita l’interesse sistematico dei media o degli artisti italiani. Come vi siete avvicinati a questa storia e perché avete scelto di renderla protagonista della vostra pellicola?
È vero, l'interesse maggiore è quello della politica: i rom sono argomento buono da spendere nelle campagne elettorali, e le cronache sui giornali di solito seguono il vento dell'opinione pubblica, ne danno un'immagine e un racconto viziato, sommario, spesso strumentale. Il cinema documentario – laddove intrapende un cammino di etica ed estetica comuni - può permetterci non solo un avvicinamento graduale, ma anche un'immersione delicata, un'osservazione vicina, una partecipazione alla vita. Nella baraccopoli di Lungo Stura Lazio avevamo già girato alcune scene del nostro film di finzione Sette opere di misericordia, nel 2010/11. Quando abbiamo saputo del progetto di graduale smantellamento delle baracche e dello spostamento parziale delle famiglie in altri luoghi di vita, abbiamo pensato che fosse necessario fermarne in qualche modo i ricordi. Creare una bolla di memoria condivisa per chi questo luogo lo aveva vissuto da oltre dieci anni, e chi non lo conosceva affatto. Da qui l'idea del film. Siamo entrati una notte di febbraio e abbiamo incominciato a conoscere le famiglie e a farci conoscere.
Il vostro film sarà in concorso al Festival Vision du Réel di Nyon (Svizzera). Quali sensazioni sperate di suscitare nel pubblico e quali concetti intendete veicolare attraverso questa pellicola?
Innanzitutto speriamo che il pubblico dei festival in cui mano a mano è selezionato e delle sale italiane dove proprio in questi giorni è possibile vedere il film, si senta immerso nella vita, nelle parole, nelle storie frammentate che I ricordi del fiume racconta. Speriamo che il sentimento di nostalgia e dignità, coraggio e incertezza sul proprio futuro, bellezza e lotta, possa in qualche modo arrivare al pubblico.
La realizzazione del film ha richiesto una sorta di convivenza tra la troupe e gli abitanti del campo rom. Che bilancio tracciate di questa esperienza a livello umano e professionale?
Il film è solo la punta di un iceberg sommerso, fatto di affetti, emozioni, amicizie, scontri, risate, pianti. Tutto questo è stato il documentario, un pezzo della nostra vita durato più di due anni. Le immagini che vedrete sono “solo” un distillato. Dagli abitanti della baraccopoli abbiamo imparato molto, ci siamo messi in discussione, abbiamo creato amicizie e legami che ancora adesso perdurano. Professionalmente, siamo stati contenti di realizzare questo film con una troupe di ragazzi che provengono dall'esperienza di laboratori del Piccolo Cinema, società di mutuo soccorso cinematografico che abbiamo fondato quattro anni fa, e che sorge a poche decine di metri da dove sorgeva la baraccopoli.
(valentina casciaroli)