Solo una cosa è peggio del male, quando è un male che si può curare o persino estirpare: l’assuefazione al male e all’orrore, la convivenza con la distruzione, la violenza, l’omicidio.
Mi auguro che suggerisca anche questa riflessione, il primo e si spera ultimo anniversario della guerra, anzi diciamo dell’aggressione della Russia all’Ucraina. Anno in cui, ai fiumi di sangue e di dolore, hanno corrisposto cascate di parole retoriche, sentenziose, disoneste, velenose o, nel migliore dei casi, smentite dai fatti. Segno di una insufficiente volontà di porre termine al massacro o di una volontà irrealistica, che ha posto condizioni inaccettabili.
Così, a un anno di distanza, non si può non riconoscere un fallimento complessivo, frutto di una diplomazia ondivaga e a tratti pavida e di una politica troppo asservita agli interessi economici dei potenti per fare ciò che la politica dovrebbe fare: tutelare il bene comune nel segno della pace universale.
Ma è, prima ancora, il fallimento di una logica di controllo, dominio e sfruttamento a cui tutto l’Occidente, Russia compresa, ha venduto l’anima.
Mentalità e modo d’agire che in ogni parte del mondo ha determinato e continua a determinare guerre, devastazioni ambientali, ingiustizie sociali e disparità economiche.
Spero che questo tragico anniversario sia occasione per tanti – innanzitutto per chi esercita il potere senza responsabilità – di una riflessione onesta e coraggiosa, portatrice di un cambiamento davvero radicale.