“Non si affitta ai meridionali”, era il cartello che campeggiava su tanti portoni torinesi negli anni Sessanta. E l’aiuto offerto a famiglie o giovani lavoratori con situazioni abitative precarie è stato fra le prime azioni del Gruppo Abele, nato proprio in quel periodo.
Oggi lo stesso tipo di discriminazione colpisce le persone e famiglie di origine straniera, spesso indipendentemente dal loro reddito.
A Torino l’emergenza abitativa è in crescita da parecchi anni. Significa che sempre più cittadini faticano a trovare una casa adatta alle loro esigenze e possibilità economiche. Non si dovrebbe neppure chiamarla "emergenza", perché si tratta in realtà di una situazione strutturalmente problematica.Che ha molti volti: dagli sfratti per morosità incolpevole (il 90% del totale), alla difficoltà di accedere ai bandi per gli alloggi popolari, una quota dei quali rimane non assegnata per carenza di manutenzione.
C’è però un dato che preoccupa più degli altri, e riguarda un ritorno a quelle forme di “razzismo abitativo” che avevano segnato la città negli anni dell’immigrazione massiccia di persone in cerca di lavoro dalle zone più povere d’Italia.
Sono tantissimi gli ostacoli che un cittadino di origine straniera affronta per accedere a un alloggio dignitoso. Prima fra tutti una diffidenza di tipo culturale, per cui molti proprietari di case preferiscono tenere gli appartamenti vuoti piuttosto che affittarli a persone di pelle scura, che indossano il velo o parlano un’altra lingua. Ci sono poi gli ostacoli burocratici, ad esempio le discriminazioni nell’accesso all’edilizia popolare (con richiesta di documenti impossibili da produrre, o di una residenza di lungo periodo), le difficoltà nell’ottenere il certificato di idoneità alloggiativa (necessario per pratiche come il ricongiungimento familiare o il prolungamento del permesso di soggiorno), il problema della residenza per le persone in alloggio protetto (ad esempio le vittime di tratta).
Tutto questo sfocia in fenomeni di “caporalato abitativo”, dove l’impossibilità di affittare casa legalmente spinge le persone nelle mani di sfruttatori senza scrupoli che chiedono cifre elevate per tuguri inabitabili.
La Rete Militante e Antirazzista per l'Abitare, che riunisce molte realtà impegnate per i diritti delle persone migranti e dei cittadini in condizione di marginalità sociale, denuncia questa regressione nel diritto all’abitare e fa delle proposte chiare al Comune.
Anche il Gruppo Abele aderisce al documento politico della Rete, per chiedere il contrasto a ogni forma di discriminazione, una campagna culturale e informativa e canali più efficaci di accesso alla casa per tutti e tutte.