Circa 60 mila migranti in meno sono sbarcati in Italia nell'anno che ci siamo appena lasciati alle spalle. Un calo del 34 percento per gli arrivi sulle coste italiane che porta a 120 mila il numero delle persone approdate via mare in cerca di una nuova vita, tra cui quasi 16 mila minori non accompagnati. Dietro al dato numerico c'è un 2017 in cui il tema dell'immigrazione è stato al centro del dibattito pubblico, dalla politica alle piazze, sia quelle reali, sia quelle virtuali dei social network.
Ripercorrerlo significa andare al 2 febbraio 2017, giorno in cui Gentiloni ha siglato per conto dell'Ue un accordo con il premier del governo di unità nazionale libico Al Sarraj, per la riduzione dei flussi migratori illegali. Un accordo che ricalca per modalità e criticità quello tra Ue e Turchia del 2016 e che dimentica di tutelare concretamente i diritti delle persone rispedite o trattenute nei paesi di partenza come ha ricordato anche don Ciotti
in una recente intervista.
A settembre 2017 è la Ong Medici Senza Frontiere la prima a chiamare in causa ufficialmente Ue e Italia sull'insostenibilità degli accordi tra Ue e Libia: "Il dramma che migranti e rifugiati stanno vivendo in Libia dovrebbe scioccare la coscienza collettiva dei cittadini e dei leader dell'Europa" ha scritto il presidente di Msf Italia in una lettera inviata al primo ministro italiano: "Accecati dall'obiettivo di tenere le persone fuori dall'Europa, le politiche e i finanziamenti europei stanno contribuendo a fermare i barconi in partenza dalla Libia, ma in questo modo non fanno che alimentare un sistema criminale di abusi". In ottobre anche il Consiglio d'Europa chiede all'Italia di fare chiarezza, tramite una lettera indirizzata al ministro degli Interni Minniti e firmata dal commissario dei Diritti umani, Nils Muiznieks: "Le sarei grato se potesse chiarire che tipo di sostegno operativo il suo governo prevede di fornire alle autorità libiche nelle loro acque territoriali e quali salvaguardie l'Italia ha messo in atto per garantire che le persone salvate o intercettate non rischino torture e trattamenti e pene inumane".
A novembre l'Onu innalza il livello della denuncia, definendo disumano il patto tra Unione europea e la Libia così come disumane sono le condizioni di vita nei campi profughi libici dei migranti bloccati dall'altra parte del Mediterraneo. Esistono altre risposte possibili? Una strada è faticosamente percorsa dall'Unione europea fin dal 2015. Si chiama "relocation", ossia il decongestionamento dei paesi a maggiore pressione migratoria (Italia e Grecia) con la ricollocazione delle persone sbarcate negli stati del nord europa secondo quote concordate. L'obiettivo era di giungere a quasi 100 mila ricollocamenti in questo triennio. Ma al 31 ottobre 2017 questa cifra era ferma a meno di 32 mila.
Un'altra strada ancora in embrione, ma vista positivamente a livello europeo è l'esperimento italiano dei
corridoi umanitari per i richiedenti asilo, progetto pilota frutto di un accordo tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e quello dell’Interno. In pratica una strada legale per ottenere la protezione internazionale a cui si ha diritto. In un solo anno, 1000 persone ne hanno beneficiato, sfuggendo alle rotte illegali e ai mercanti di schiavi, che nel 2017 hanno causato almeno 3.116 morti o dispersi nella rotta del Mediterraneo dal Nord Africa verso l'Italia.
Il 2018 da poco iniziato si è aperto con un rilancio da parte di Papa Francesco: "L'incontro vero con l'altro non si ferma all'accoglienza - ha sottolineato il Pontefice nel suo discorso per la Giornata Mondiale Cei del Rifugiato e del Migrante: "E' necessario anche "proteggere, promuovere e integrare". Quattro pilastri dell'agenda cristiana, ma a a cui deve tendere una politica rispettosa della vita umana. Buon 2018.