È stato presentato la scorsa settimana a Torino il terzo Rapporto annuale dell’Osservatorio sulle migrazioni, Immigrant Integration in Europe, finanziato dalla Compagnia di San Paolo. Il rapporto utilizza i dati dell’ultima edizione della European Labour Force Survey (EULFS), riferiti al 2017, per analizzare le caratteristiche e l’integrazione economica della popolazione immigrata negli stati dell’Unione europea. Gli stessi che da mesi non riescono a organizzare una riforma comunitaria delle leggi sull’immigrazione e sulla redistribuzione di tutti coloro che si muovono per il continente. Non solo rifugiati e richiedenti asilo.
I risultati dello studio, a dispetto dell’invasione percepita o strumentalizzata, dicono che in Europa è immigrato un residente su dieci. E la maggior parte degli immigrati è residente nel paese di approdo da più di cinque anni. Che il numero totale è aumentato di due milioni all’anno negli ultimi due anni. Fino a toccare, nel 2017 nell’UE, la cifra di 53.1 milioni. Circa il 10% della popolazione continentale. Media rispettata precisamente anche in Italia, dove sono 6 milioni su 60 circa.
Cifra che evidentemente ci spaventa e tuttavia non conosciamo. Infatti, sottolinea il rapporto, più della metà degli immigrati che vivono in Italia arriva da Paesi europei. Nove su dieci risiedono nel nostro Paese da più di cinque anni e non sono sbarcati questa estate. Non stanno tutti chiedendo asilo o rifugio: hanno il permesso di lavoro o arrivano per ricongiungimento familiare.
Gli immigrati provenienti da paesi extra-europei costituiscono meno della metà della popolazione straniera. Il 19% proviene dall’Africa e dal Medio Oriente, il 16% dall’Asia e l’11% dal continente americano o dall’Oceania.
Per giunta, questi sparuti invasori non vanno in giro a far nulla. In media in Europa gli immigrati hanno un tasso di occupazione inferiore a quello dei nativi solo dell’8%. E non sono degli zotici: all’interno di ciascun paese, la percentuale di immigrati con istruzione universitaria è simile a quella degli abitanti. Circa un terzo degli immigrati ha un’istruzione di livello universitario. Sebbene si accontentino di svolgere occupazioni poco qualificate e poco retribuite. Una condizione che accomuna tutti i Paesi europei.
Si potrebbe contestare che i dati siano risalenti al 2017. Ma, prima col decreto Minniti del 2017, ora con il decreto Sicurezza del 2018, garantisce il governo, i flussi sono assolutamente sotto controllo, ossia azzerati.
Tranne il flusso in uscita. Stando ai dati del ministero degli Esteri, gli italiani iscritti nei registri dei residenti all’estero sono 5.114.469. E nell’ultimo anno sono aumentati di 140mila persone (+2.8%). Di questi , il 52.8%, più della metà, sono espatriati dal Bel Paese. E non sono solo giovani in età da lavoro. Il 56% di coloro che sono andati via ha un’età compresa tra i 18 e i 44 anni, a cui si deve aggiungere un 19% di minorenni. Quest’ultimo dato indica come a spostarsi siano famiglie intere.
Per di più, questi italiani in uscita dall’Italia vanno a vivere in altri Paesi europei: la nazione con la più numerosa comunità di italiani è la Germania, che solo nel 2018 ha accolto 20mila nostri connazionali. Ci sono poi Regno Unito e Francia con 18.517 e 12.870. Questo a conferma che i grandi numeri del fenomeno migratorio che sta sconvolgendo l’Europa, non rappresentano un’invasione dall’esterno. Più semplicemente, come dice il rapporto dell’Osservatorio sulle migrazioni, più della metà degli immigrati che vivono in Europa (Italia compresa) arriva da Paesi europei. Insomma, gli europei si stanno amalgamando: stanno creando l’Europa.
(toni castellano)