Si intitola Shelter. Addio all’Eden il documentario di Enrico Masi, prodotto da Caucaso, che verrà presentato il 20 giugno, in coincidenza con la Giornata internazionale del rifugiato, al Cinema Massimo di Torino.
Shelter è il diario, girato tra Sardegna, Emilia, Liguria, Alpi Marittime e Parigi, di tre anni di vita di Pepsi, militante transessuale nata nel Sud delle Filippine in un’isola di fede musulmana. Dal Mindanao, attraversando Asia, Africa e Europa, Pepsi arriva alla giungla di Calais, mentre rincorre il riconoscimento di un diritto universale, vivendo l’odissea dell’accoglienza in Europa. Pepsi è un individuo in transizione alla ricerca di un impiego stabile come badante, dopo aver lavorato per oltre 10 anni nella Libia di Gheddafi come infermiera, prima di essere costretta a seguire il flusso dei rifugiati. Il suo racconto fuoricampo è una parabola post-coloniale, in cui la geografia europea si mischia al dramma emotivo. Dramma condiviso con molti compagni di viaggio e che ci siamo fatti raccontare direttamente dal regista, Enrico Masi.
Gay, transessuale, mussulmana, infermiera, rifugiata, ribelle. Pepsi, la protagonista del film sembra impersonare una moltitudine. Quale caratteristica può accomunare tutte le sue personalità?
Resistente e resiliente. Pepsi è una persona con una forza interiore fuori dal comune. La sua capacità di ridere, trovandosi in una situazione difficilissima, di sapersi ancora divertire, ha qualcosa di soprannaturale. Per questo molto spesso ho pensato ad una specie di supereroe. Ogni volta che ci siamo trovati insieme (Parigi, Bologna, Ventimiglia, Modena), non era chiaro che cosa stesse accadendo, se quella persona fosse veramente insieme a noi. E invece proprio nella sua presenza si rifletteva la sua impressionante resistenza e complicità.
La protagonista del tuo film chiama il suo viaggio “Spedizione umana”. Nonostante tutto quello che ha affrontato dunque non rinuncia all’umanità.
Mentre noi occidentali sembriamo reagire con freddezza al dramma dei migranti. È forse proprio questo il dono che gli ultimi portano alla nostra società?
“Spedizione umana”: sono molto legato a questa espressione. Fa parte di un altro degli sforzi di Pepsi di descrivere una condizione così radicale. Ricordo che durante il montaggio, così come nel processo di traduzione e sottotitolazione del film, abbiamo discusso a lungo su questo preciso momento.
Il concetto di ultimi è stato per noi molto importante nella costruzione dei documentari e dei progetti a cui ho lavorato in questi anni. Tutta la trilogia (The Golden Temple, Lepanto e Shelter, 2012-2019) ha cercato di dare voce a queste persone, creando un corto circuito tra la grande narrazione e chi questa narrazione la subisce a causa della mancanza di strumenti per comunicare. È un tema molto complesso. Credo che Pepsi sia in grado di attirare una sorta di empatia, che permette al pubblico di avvicinarsi, e questo potenzialmente aumenta le possibilità di prendere atto di una crisi così profonda.
Pepsi, dopo aver attraversato tre continenti, guerre, persecuzioni, violenze ha capito che l’arrivo di masse di rifugiati in Europa è inevitabile: dà per scontato che l’unica risposta è l’integrazione, certo non la chiusura. Come giudica l’evoluzione recente delle politiche nazionali europee alla luce delle risposte sovraniste sulla gestione dei flussi migratori?
Sono nipote di un sabotatore partigiano (Gino Bonfiglioli, classe 1926), attivo nella resistenza in Emilia, con cui dialogo da sempre. Esiste un grande dibattito su che cosa rappresenti la Democrazia, e molto spesso aree radicali della sinistra hanno messo in dubbio questa dicitura, contestandone la veridicità. Ora, intorno al concetto di verità, ovvero nel saper riconoscere che cosa sia reale, per chi lo sia, e fino a che punto questo reale influenzi le realtà individuali, continua ad esserci non soltanto dibattito, ma lotta e contestazione, o dall’altro lato, asservimento e sottomissione. Le politiche del presente governo sono all’insegna di una percezione della paura dell’altro. Questo movimento infantile non considera la memoria, fattore fondamentale su cui si basano le civiltà sia tribali che avanzate. La memoria è un valore, costituisce un’etica, oltre ad essersi stratificata nella Costituzione e nelle leggi. Dal punto di vista del cinema, tentare di correggere questo immaginario dedito alla paura è un’azione minima e costante.
Il viaggio della protagonista del film ricorda l’antico mito greco di Europa. Esiste un mito per raccontare l’Europa attuale?
Sono nato nel 1983, ho vissuto a cavallo tra due millenni e ho studiato a lungo la post-modernità, e continuo a farlo. Un mito dell’Europa attuale, certamente negativo, potrebbe essere la dilagante incapacità relazionale e geografica che ci costringe all’interno di nuove muraglie.
Un altro è la corsa verso una economia verde. La sostenibilità è la chimera da seguire e per questo sto cercando di deviare il flusso delle prossime energie creative e produttive verso questo ambiente di ecologia politica e politiche ambientali. Anche la trilogia ha osservato l’ambiente con una visione straniante. Vorrei continuare a sviluppare questo immaginario generazionale. Non è un valore poter volare a basso costo ovunque e velocemente. I valori che ritengo formativi sono l’approfondimento, la conoscenza, il viaggio lento, il confronto con le altre culture, ma non con tutte le altre culture, sarebbe impossibile, conviene dedicarsi, scegliere.
Shelter è la storia di un essere umano in cerca del riconoscimento di sé stessa. Letta così potrebbe essere la storia di qualsiasi essere umano: insomma, siamo tutti profughi?
Shelter è sicuramente la storia di tanti esseri umani, almeno di coloro che sono disposti ad ascoltare anche le storie più difficili. Servono animi lontani dall’assopimento e dall’assuefazione derivata dalla società dei consumi. La fantasia, la curiosità, l’ascolto, rendono le donne e gli uomini partecipi di una società collettiva. Senza queste forme di contaminazione la nostra società si chiude, si impaurisce. Non è questo che abbiamo costruito. Shelter è anche un documentario inteso come opera d’arte, in questo senso partecipa al processo di costruzione della memoria. Deriva da un’esperienza umana, che si è trasformata in un oggetto di comunicazione, che per quanto curato e contemporaneo, ha la stessa funzione dei petroglifi siberiani di 12.000 anni che mostrano animali e scene di caccia. Marlon Pellegrini ha detto di Shelter: “Quella di Pepsi è la storia di un Corpo, e il corpo della Storia.” Credo in un cinema fortemente esperienziale, e il superamento della forma statica del cinema, è il suo farsi, oppure, ancora oltre, è un cinema sonoro che attraversa le città e i territori. Probabilmente un cinema ambientale.
(toni castellano)