Il 17 ottobre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà.
Dicitura, scelta dall’Onu nel 1987, che, come altre, rischia di risultare ingenua, se non addirittura fredda, distante rispetto ai propositi della sua promulgazione. Distanza dovuta all'oggetto, la povertà, che appare così indefinito a tutti coloro che poveri non sono, e all’attuale approccio culturale, fondato sull’allontanamento, la segregazione e, talvolta, la colpevolizzazione di coloro che personificano la povertà.
Per il 17 ottobre 2019 molte sono le iniziative promosse al livello mondiale, una su tutte la giornata romana della Rete Numeri Pari, di cui fa parte anche il Gruppo Abele: 5 passi per sconfiggere le disuguaglianze.
Disuguaglianze di cui occorre chiedersi cosa comportano per comprenderle: riscontri concreti.
Realtà di cui abbiamo chiesto conto a Antonio Mumolo, fondatore e presidente dell’associazione Avvocato di Strada, lo studio legale più grande d’Italia.
Cosa comporta oggi diventare poveri, a livello giuridico?
Quando una persona diventa povera, talmente povera da finire in strada, perde normalmente anche la residenza, ovvero viene cancellata dalle liste anagrafiche del Comune in cui risiedeva.
Questo avviene perché l’anagrafe certifica dove si trovano le persone e se una persona non vive più in un appartamento, e ci vive invece un altro soggetto, sarà quest’ultimo a richiedere ed ottenere la residenza in quell’appartamento.
La mancanza di residenza però, in Italia, provoca il mostro giuridico della invisibilità e della impossibilità di uscire dalla strada.
Senza residenza non si può lavorare, non si può aprire una partita Iva, non si ha diritto alla assistenza sanitaria e quindi non si può avere un medico di base (solo prestazioni di pronto soccorso), non si può usufruire del welfare locale, non si può votare, non vien garantito il diritto alla difesa. Insomma si perde ogni diritto di cittadinanza e si sprofonda nel nulla.
La legge però stabilisce che tutti i cittadini italiani, ed i cittadini stranieri con permesso di soggiorno, hanno diritto alla residenza e, se dormono in strada, devono comunque essere iscritti alla anagrafe di quel Comune in una via fittizia, di cui ogni Comune dovrebbe dotarsi.
I Comuni tendono invece a negare la residenza ai più poveri e qui intervengono gli avvocati, per costringere i Comuni a rispettare la legge.
Quali tipologie di casi l'associazione Avvocato di Strada si trova a fronteggiare, nell'ambito della povertà, nell'attualità dei nostri giorni?
La casistica è molto ampia. Solo l’anno scorso, nelle nostre 54 sedi in Italia, abbiamo affrontato 3.945 casi. Sono questioni relative a ogni branca del diritto. Dalla residenza al diritto del lavoro, al diritto previdenziale, al diritto di famiglia, al diritto penale e al diritto amministrativo.
Casi di persone che, dopo aver lavorato, non vengono retribuite “tanto sono barboni, cosa possono fare?”. Persone che hanno diritto a un'eredità ma i fratelli gliela negano, persone picchiate solo perché dormivano su una panchina, persone che prendono la multa sull’autobus mentre vanno a mangiare nelle mense dei poveri.
Ogni anno pubblichiamo il nostro bilancio sociale, reperibile nel nostro sito. Nel bilancio sono descritte le 3.945 questioni affrontate nel 2018, suddivise in diritto civile, diritto penale, diritto amministrativo e diritto dell’immigrazione.
Esiste la possibilità di arginare dal basso la perdita di diritti legata all’impoverimento?
Quali soluzioni meglio rispondono all'emergenza?
La possibilità esiste perché la povertà è solo uno status, una condizione in cui chiunque può trovarsi nell’arco della vita.
Il dovere principale è garantire diritti alle persone. Con la residenza tante persone sono uscite dalla strada perché hanno trovato lavoro o sono andate in pensione se ne avevano diritto.
L’altra cosa importantissima è costruire reti solide sul territorio. Chi finisce in strada ha bisogno di tutto. Mangiare, dormire, vestirsi, lavarsi, un supporto medico e psicologico, un avvocato.
Noi stiamo provando a costruire questa rete dal basso, anche proponendo nelle città in cui siamo presenti la guida tascabile Dove andare per… nella quale inseriamo chi fa qualcosa per le persone senza dimora (dalla parrocchia che una volta alla settimana offre dei panini a chi offre docce, mensa etc..). La guida serve alle persone in strada, ma anche a mettere in rete chi lavora ogni giorno per contrastare il disagio e l’esclusione sociale. A questo indirizzo è possibile vedere e scaricare la guida bolognese.
Avvocati e Strada, un binomio non usuale..
Gli avvocati sono quelli che ce l’hanno fatta. Una professione, buona situazione economica, bella casa.
In strada ci sono quelli che invece sono diventati poveri e hanno perso tutto.
Sembra un ossimoro, sembrano situazioni distanti ma non è così. In strada c’è anche fame di diritti e ci sono torti da riparare. E occuparsi degli altri, gratuitamente, a volte, può dare un senso alla professione di avvocato.
Insomma, avvocato e strada non sono poi così distanti, come non sono distanti le parole avvocato e volontario. Fare volontariato significa andare in soccorso di chi ha bisogno in maniera volontaria, gratuita, e la parola avvocato deriva dal latino, da ad voco, che significa andare in soccorso di chi ha bisogno.
(toni castellano)