Il circolo Arci Antonio Banfo, chiuso come tutti gli altri della rete a causa delle nuove misure restrittive, si trova a Torino in via Cervino numero 0, affacciato su corso Vercelli. A saltare, oltre alla socialità di base che avveniva dentro il locale, è stato anche lo spazio di aiuto-compiti del sabato mattina, ciò che restava di un progetto più ampio di dopo-scuola gestito prima della pandemia.
Alda e Kenza, giovani volontarie, e Nunzia, preside in pensione di un istituto comprensivo di zona, mi raccontano dei “loro” bambini rimasti senza un punto di riferimento importante. Parliamo soprattutto di alunni della scuola elementare e qualcuno delle medie, in gran parte di origine straniera, che durante i mesi di lockdown hanno accumulato un deficit formativo importante. Dopo l’iniziale spaesamento, le loro scuole si sono date da fare, cercando di dotare tutti dei dispositivi per seguire la didattica a distanza. Ma nulla hanno potuto contro gli spazi domestici esigui e sovraffollati, le difficoltà di concentrazione, il calo di motivazione. Lo stesso circolo Banfo, insieme all’Associazione Amici di Mais e altri, aveva attivato in quel periodo un progetto di Cyper-dopo-scuola per tenere agganciati alla programmazione quanti più alunni possibile. Mentre in collaborazione con l’Associazione culturale Babelica, sempre presso gli spazi del circolo, fino a pochi giorni fa era attivo lo sportello gratuito Prima della terza, rivolto a bambini dai 5 agli 8 anni con difficoltà scolastiche di vario tipo, e alle loro famiglie.
Ora tutto si è fermato, ancora una volta. E, da fermi, ci si interroga. Forse, nell’ansia di colmare le lacune didattiche e di incoraggiare il rispetto delle nuove regole di convivenza, è passata in secondo piano la necessità di spiegare la situazione nei suoi molti e problematici risvolti. I bambini e gli adolescenti sono stati lasciati soli a rielaborare il senso di quanto stava accadendo, e lo hanno fatto attraverso i loro canali di elezione: il passaparola, anche virtuale, attraverso i social, con il loro potenziale deformante e pericoloso.
Oggi, mi dicono le volontarie, in tutti prevale la frustrazione. I bambini le fermano per la strada chiedendo quando potranno tornare a fare i compiti insieme, ma fino almeno a Natale c’è poca speranza di organizzare qualcosa. Eppure basta dire “gennaio” per far tornare la parola progetto al posto della parola rassegnazione. Del resto per chi ha sede al civico “0” l’impossibile non esiste...
Patrizia, della Drop House del Gruppo Abele, in via Pacini, mi riporta simili esperienze e stati d’animo. Mamme disorientate, e soprattutto all’inizio molto spaventate, aumento delle tensioni domestiche, disagio abitativo, bambini e adolescenti che perdono i loro punti di riferimento. Il rischio, lei dice, in caso di nuova e prolungata chiusura, è che i più fragili cadano in una sorta di autismo sociale, chiudendosi in un mondo tutto loro e rinunciando non solo allo studio ma anche ai rapporti affettivi.
L’attenzione ai nuclei familiari, che è il focus del progetto Drop House, non è venuta meno neppure nei mesi di lockdown, con rapporti alimentati per telefono e offerta di sostegno a distanza. Mentre al momento pare che le attività educative per i bambini, riprese il prima possibile, potranno continuare anche in presenza. Anche se il riaggravarsi della situazione generale chiede di dirottare tante energie verso l’accoglienza di base, e in particolare verso le ospiti del dormitorio femminile che ha sede presso la stessa struttura.
Altro contesto, stessi problemi. Lucia del progetto Genitori&Figli del Gruppo Abele, che segue circa 250 famiglie della Circoscrizione 3, due terzi delle quali straniere, parla di ostacoli nell’apprendimento e di una finestra di tempo troppo breve, in questo inizio di anno scolastico, per colmare le gravi lacune. Adesso si cerca di capire quali attività potranno andare avanti e quali invece subiranno un nuovo stop, presso la nostra sede di corso Trapani. Nel frattempo preoccupa la reazione di alcune comunità, come quella cinese, che per rafforzare la prevenzione sta optando per l’home schooling, ossia la richiesta di sostituire la scuola con un percorso di istruzione domestico, anche per i più piccoli. Bambini già a rischio isolamento per questioni linguistiche e culturali finiranno per accumulare un’ulteriore distanza dai coetanei, sia in termini di socialità che di didattica.
Il terzo capitolo online il 16 novembre:
Il primo capitolo:
(cecilia moltoni)