La pandemia di Covid 19 ha bussato anche alle porte dell’Africa, seppure meno violentemente che da noi. Fattori ambientali e demografici ne hanno probabilmente mitigato gli effetti, che all’inizio l’Oms aveva stimato catastrofici, viste le infrastrutture sanitarie fragili e le numerose altre crisi che già affronta il continente. In Costa d’Avorio, ci raccontano Leone e Francesca della Communauté Abel, la chiusura tempestiva dei confini, delle scuole e di molte attività produttive ha contrastato efficacemente i contagi, ma ha avuto conseguenze immediate sul piano socio-economico. Per questo le realtà del Terzo settore, con la prontezza di chi opera in contesti difficili, hanno rimodulato le attività per rispondere all’emergenza.
Il primo passo, spiega Leone, è stato investire nella prevenzione: tutto il personale e i ragazzi coinvolti nelle attività del Centre Abel e del Carrefour Jeunesse sono stati sensibilizzati sulle nuove regole di igiene. Questo lavoro si è in seguito esteso alla popolazione locale, grazie a un progetto finanziato dalla Cei, che ha consentito di offrire kit igienico-sanitari e occasioni di formazione ai residenti di numerosi villaggi della zona di Grand Bassam.
La sartoria interna al Carrefour Jeunesse ha dovuto sospendere il suo corso professionale. Ma grazie alla collaborazione dei formatori, delle allieve suddivise in piccoli gruppi e degli artigiani sarti presso i quali normalmente si svolgono i tirocini, si è prontamente riconvertita alla produzione di mascherine in tessuto, filtranti e riutilizzabili. Una quota importante è stata acquistata dal Comune di Grand Bassam per i propri dipendenti, a riprova della qualità del prodotto.
L’altro fronte da presidiare, continua Francesca, è stato quello della sussistenza. Come la maggior parte dei Paesi africani, anche la Costa d’Avorio è caratterizzata da un’amplissima quota di attività economiche informali – piccolo artigianato, piccola ristorazione – che costituiscono l’unica fonte di reddito per molte famiglie. Nei mesi in cui sono state costrette a fermarsi, è stato importante intervenire a sostegno delle fasce più deboli. Grazie alla raccolta fondi territoriale, all’aiuto di alcune imprese e a un progetto ad hoc dell’Unione Europea, la Communauté ha potuto fornire, a oggi, circa 300 kit alimentari, ciascuno sufficiente per il sostentamento mensile di una famiglia di cinque persone.
Adesso la situazione nel Paese è simile a quella pre-pandemia, con un graduale ritorno alla normalità nei vari settori, e l’attenuarsi anche delle tensioni politiche che in autunno, a seguito di elezioni molto contestate, avevano causato proteste e conseguenti azioni repressive, con alcune decine di morti. Guardando con relativa fiducia all’anno che sta per iniziare, si può quindi tornare a lavorare sui progetti di medio e lungo termine.
Il primo di questi riguarda la formazione in ambito agro-alimentare, che dovrebbe arricchire l’offerta del Centre Abel per i ragazzi usciti dal circuito penale e dunque creare maggiori opportunità professionali per tutti loro. La costituzione di piccoli laboratori di trasformazione dei prodotti agricoli - avviata in via sperimentale e con successo con il laboratorio di cioccolato a partire dal 2016 (progetto sostenuto con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese e di Ases, poi del Comune di Vinovo, dell'Associazione Vinovo for Africa e della Fondazione Peppino Vismara) - renderebbe inoltre il progetto più autonomo sul piano alimentare, facilitando lo stoccaggio delle derrate e riducendo gli sprechi. Questo si legherebbe a un progetto di sensibilizzazione sui temi ambientali da avviare al Carrefour Jeunesse, con l’attivazione di un corso sull’energia solare e in prospettiva l’installazione di pannelli per raggiungere l’autonomia energetica delle varie strutture; il progetto "L'ambiente al Centro", è sostenuto coi fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese.
Il secondo filone di intervento, racconta Leone, riguarderà i temi di genere e in particolare la tratta. La Costa d’Avorio è Paese di arrivo e sfruttamento per molti giovani, sia sul piano lavorativo, nelle piantagioni di cacao e caffè, sia, nel caso soprattutto delle ragazze, a scopo sessuale. Ma sono tante anche le giovani ivoriane che partono verso il Maghreb e il Medio Oriente con l’ingannevole promessa di un lavoro, che si trasforma in avviamento alla prostituzione. Grazie al supporto della Cooperazione Francese, la Communauté lancerà un progetto di lungo periodo per creare una rete di protezione intorno a queste giovani donne, fatta di sensibilizzazione, aiuto concreto e accoglienza in una casa-rifugio. Rimane dunque un’affinità di sguardo e di intervento fra la Communauté Abel e il Gruppo Abele, con la voglia di interrogarsi e intervenire sui bisogni delle persone più fragili, che spesso si somigliano sia pure nella grande distanza e differenza dei contesti.
(cecilia moltoni)