La storia è una storiaccia. Una di quelle con un finale che per spiegarlo c’è da consultare alla voce poteva finire peggio ma che a fatica definiremmo lieto. Una storiaccia che, pure, non ha niente di nuovo. Tutto è già stato, tristemente, visto.
È il 25 aprile 2021, il giorno della Festa della Liberazione dal nazifascismo. Nelle campagne del foggiano c’è un punto dove gli agri dei comuni di Foggia, Rignano Garganico e San Severo si incontrano. Non ci sono confini se non polvere di terra e qualche strada disagevole. Nessun cartello. Là c’è quello che tutti ormai chiamano Gran Ghetto. È la più grande baraccopoli italiana. Ci vive per tutto l’anno un manipolo di braccianti agricoli stagionali. Ma d’estate la situazione si complica, il ghetto si popola di centinaia di anime con tanto di caporali. Ci sono le abitazioni in mattone diroccate, ci sono i materassi sotto le stelle, ci sono le abitazioni di scarti, ci sono i negozi, i bazar, il barbiere, i luoghi per pregare, spacci di vestiti… Un mondo fuori dal mondo.
La notte del 24 aprile scorso dei malviventi armati provano a rubare il gasolio che illumina il ghetto. Vengono scoperti, scappano. Uno di loro viene catturato poi lasciato andare dai migranti e lui li minaccia. Nemmeno 24 ore dopo succede che una macchina bianca affianca l’Opel su cui viaggiano alcuni lavoratori, sparano con un fucile a pallettoni, colpiscono il parabrezza e il volto di Sinayogo Boubakar, un ragazzone trentenne, maliano, sindacalizzato, che tutti, per la stazza, chiamano Biggie.
Biggie finisce al Riuniti di Foggia, operato d’urgenza. Si salva ma ha punti di sutura ovunque e perderà l'uso di un occhio.
I malviventi sono stati denunciati, ma le cose in terra di Foggia procedono lente. Caporalato, razzismo e malvivenza si intrecciano pericolosamente in un condensato unico e indistinguibile di violenza, sopraffazione e di frammentazione sociale.
Già un paio d’anni fa, in periferia del capoluogo, alcuni lavoratori stagionali erano stati presi di mira per giorni dalle sassaiole di un gruppo di giovani. E poi ci sono le intimidazioni, le botte, i furti, i raid, gli omicidi.
In vista del Primo Maggio, vogliamo provare ad accendere una volta di più (l'ennesima volta di più), i riflettori su questa situazione che ne tiene dentro tante come abbiamo visto e che di fatto alimenta uno dei più grandi sistemi di sfruttamento che porta guadagno solo alle imprese che su questa manodopera fanno affari d’oro.
Ne abbiamo parlato con Raffaele Falcone della Flai Cgil. Insieme ad altre associazioni da anni porta avanti un lavoro faticoso di consapevolezza, formazione e cultura del lavoro, oltre che di assistenza immediata.
Che succede nelle campagne di Capitanata?
"La Capitanata è la più vasta pianura meridionale, una volta granaio del Paese e oggi primatista nazionale nella produzione di diverse varietà di ortaggi. La terra è ricca e molto sfruttata, la richiesta di manodopera è continua e per tutto l’anno, a seconda della stagionalità. Caporalato e agricoltura procedono così, per stagioni. Asparagi, carciofi, broccoli, frutta, pomodoro: qui si semina tutto, tutto cresce e poi c’è bisogno che qualcuno raccolga. I lavoratori stagionali sono i nuovi braccianti: stesso sfruttamento, stessi antichi problemi, stessa mole di lavoro e pochissimi diritti. Arrivano spesso da altre zone d’Italia dove hanno preso parte ad altre raccolte e dove, poi, verosimilmente torneranno. Anche per questo le condizioni abitative sono bel oltre il limite della disumanità e la provincia di Foggia vanta anche l’assai poco lusinghiero primato della più estesa diffusione di fenomeni di segregazione abitativa su base razziale, per una decina di insediamenti informali detti anche ghetti, ma soprattutto oltre 40mila operai agricoli per due terzi comunitari e per la parte restante africani del Maghreb e subsahariani".
Che sistema è il sistema del caporalato nelle campagne del Foggiano?
"Il sistema del caporalato si basa sull’intermediazione illegale da parte di criminali che reclutano i lavoratori nei ghetti e negli insediamenti informali, li trasportano ammassati a bordo di furgoni per niente sicuri e li sfruttano nei campi. Il caporale non è un alieno: ha invece una fitta rete di legami con le aziende. E i migranti lo sanno: se vuoi lavorare in campagna devi passare da loro. Il caporale prende 5 euro per il trasporto e una parte della retribuzione dei lavoratori (la miseria di 2 euro all’ora per 10 ore al giorno). In questi ultimi anni i caporali hanno esteso il raggio della loro azione. Non governano più soltanto il processo di domanda/offerta di manodopera, ma gestiscono la sistemazione abitativa e i rapporti con le aziende per i rinnovi dei permessi di soggiorno. Sono figure potentissime ed estremamente pericolose, garantiti e protetti dall’alto e temuti dal basso. Uomini che non si fanno scrupoli di usare la violenza spingendola fino alle estreme conseguenze. I caporali hanno carta bianca sui metodi e chi si serve della loro intermediazione si volta sempre altrove".
Qual è la battaglia che deve innescarsi a partire da questo Primo Maggio?
"Bisogna intervenire sull’accoglienza, che non deve essere più emergenziale ma ordinaria, creare una rete di trasporti pubblici tra le borgate, controllare il collocamento tramite un sistema pubblico. Quello che è successo in queste ore a Biggie, il lavoratore maliano cui hanno sparato al rientro a casa, ci fa pensare ancora una volta che i lavoratori non possano essere lasciati soli. Abbiamo bisogno che lo Stato intervenga per dare sicurezza negli insediamenti e per dare sicurezza economica. Bisogna cacciare i caporali e far rispettare i contratti di lavoro. Solo così le lavoratrici e i lavoratori saranno liberi dallo sfruttamento".
(piero ferrante)