Sono 17.340 i detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane. Ovvero, un terzo della popolazione carceraria complessiva. La stima, aggiornata al 31 dicembre, è del Ministero dell’Interno. Numeri che, a vedersi così, potrebbero essere letti e interpretati come spie d’un problema e che, viceversa, testimoniano un calo significativo occorso nell’ultimo lustro. Rispetto allo stesso periodo del 2010, secondo i calcoli della Fondazione Leone Moressa, la flessione è infatti del 30,5% (di poco meno del punto percentuale rispetto al 2014).
Il tasso di detenzione straniera è più alto nelle regioni del Nord (53% in Liguria, 52% in Veneto) rispetto a quelle Sud (fanalino di coda è il Molise), con picco del 70,4% in Trentino Alto Adige dove, però, a pesare è anche la presenza della componente austriaca.
Le prime tre nazionalità, che insieme comprendono quasi la metà dei detenuti stranieri, sono il Marocco (16,4%), la Romania (7,1%) e l’Albania (1,0%), con la presenza femminile che si attesta mediamente al 4,6%. Valore, questo, che tocca i massimi livelli nelle comunità nigeriana (13,7%) e dell’ex Jugoslavia (11,1%) è che è quasi del tutto assente, al contrario, per quelle nordafricane.
Stando all’analisi della Fondazione Moressa, gli stranieri sono in restrizione della libertà “per reati legati alle condizioni di povertà”. Il disagio sociale, dunque, resta alla base delle azioni delittuose e solo il 4,4% è detenuto per “motivi legati all’immigrazione clandestina (-66,5% dal 2010).
(piero ferrante)