IMMIGRAZIONE: PROTESTA AL CIE TORINO, INCENDIATE STRUTTURE

NotizieTorino, varcare la soglia di corso Brunelleschi vuol dire sparire

L'Asgi nel "Libro nero del Cpr di Torino" denuncia una ferita nello stato di diritto. Trenta pagine per raccontare l'orrore, "l'orlo del burrone" che il 23 maggio ha inghiottito Moussa Balde, originario della Guinea, pestato a Ventimiglia e suicida in una cella di isolamento del Centro

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Trenta pagine per raccontare l’orrore, “l’orlo del burrone” lungo cui si continua a camminare nel Cpr (Centro di permanenza per il rimpatrio) di Torino. Quel burrone che il 23 maggio ha inghiottito Moussa Balde, originario della Guinea, pestato a Ventimiglia e suicida in una cella di isolamento del centro di corso Brunelleschi.
Una ferita nello stato di diritto fotografata e denunciata dell’Asgi con Il libro nero del Cpr di Torino. Presentato a giugno, il documento è diventato un esposto, ora inglobato nell’inchiesta sulla morte di Balde, che così si è allargata anche ad altri cinque casi di “trattenuti” in precarie condizioni di salute fisica o psichica.
Una sorta di “racconto clandestino”, come lo definiscono gli autori, “perché qui dentro tutto tace”. Ma basterebbe leggere anche solo i titoli dei capitoli per rendersi di quello che il presidente Asgi Lorenzo Trucco ha definito “uno squarcio nel nostro sistema di diritto”.

L’isolamento illegale
A differenza dell’ordinamento per il carcere, nessuna legge consente l’isolamento all’interno dei Cpr. Eppure la pubblica amministrazione, senza alcun controllo giudiziario, ne fa un uso quotidiano, con le finalità più varie. Le 12 “gabbie pollaio” usate per l’isolamento, che nella surreale lingua del Cpr diventano un “ospedaletto”, sono celle spoglie e dimenticate dal sole, con i sanitari ridotti al minimo e cemento ovunque.

Casi di ordinaria ferocia
Ordinaria indifferenza, che diventa appunto ordinaria ferocia. È la storia del giovane tunisino con una ferita d’arma da fuoco al piede: sbarcato a Lampedusa e rinchiuso nel Cpr il 4 novembre del 2020, viene ricoverato e curato al Cto solo il 14 aprile 2021. O del connazionale affetto da linfoma di Hodgkin che, dopo avere aspettato per 49 giorni l’esame del sangue e pur essendo in attesa del riconoscimento della protezione internazionale, viene poi dimesso e lasciato in strada: non conosce la lingua, non conosce Torino, in tasca solo i 20 euro regalo di un mediatore del Cpr. Non ha neanche la cartella sanitaria, i reclusi nel Cpr non possono averne copia.

L’umiliazione delle persone trattenute e l’autolesionismo quotidiano
C’è un virus, denuncia l’Asgi, che ha contagiato il Centro di Torino ben prima della pandemia. È l’umiliazione degli stranieri: isolati dal mondo, rinchiusi in locali sovraffollati, costretti ad attese infinite per qualunque richiesta.
Il sintomo lampante di questa malattia sono i quotidiani episodi di autolesionismo. L’ente gestore e le autorità hanno fornito solo nel 2011 i dati sui tentati suicidi e sui gesti autolesionistici nel Centro. Ma l’Asgi ha comunque provato a raccontare quel “rosario interminabile di cui si conoscono pochi grani”: scioperi della fame e della sete, ferite autoinflitte, batterie e lamette ingoiate, labbra cucite e tentativi (riuscito nel caso di Balde) di impiccagione.

I moduli abitativi indegni e la dittatura della sicurezza
Gli spazi riservati ai reclusi prevedono moduli abitativi da 50 metri quadrati, bagni inclusi, in cui vivono, mangiano e dormono 7 persone. Tra la stanza da letto e il bagno non c’è porta e pochi metri separano i sanitari dai letti più vicini. Una cancellazione dei luoghi privati non giustificabile da esigenze di sicurezza.
E sempre nel nome della sicurezza, ai reclusi viene negata la possibilità di accendere o spegnere la luce nello stanzone così come di pranzare o cenare seduti a un tavolo: abbandonate le sale mensa, il cibo viene consumato negli stanzoni, a terra o sul letto.

La mancata protezione dei reclusi
Nel distribuire i migranti tra le diverse aree non vengono tenuti in nessuna considerazione status giuridico e biografia. Così richiedenti asilo, persone con disabilità fisiche e intellettive, potenziali minori e tossicodipendenti sono collocati insieme a soggetti ritenuti socialmente pericolosi, accusati di proselitismo o terrorismo e con precedenti penali.

I servizi inadeguati o assenti e l’abuso di psicofarmaci
La presenza del personale civile nel Cpr è rarefatta e inadeguata, in media un recluso può contare su 14 minuti alla settimana di assistenza psicologica e altrettanti di supporto sociale. Nei 10 mesi seguiti alla dichiarazione della pandemia nessun medico psichiatra è entrato nel Cpr.
Non mancano invece gli psicofarmaci: “Al Cpr di Torino si usano a litri, 20 gocce di Valium o Rivotril non si negano a nessuno”, parole di un responsabile dell’ambulatorio. Loro, i reclusi, raccontano la noia assoluta di giornate sempre uguali, senza alcuna opportunità lavorativa o formativa: “Devo per forza prendere la terapia, altrimenti il tempo non passa mai”.

Il simulacro della giurisdizione
Gli stranieri trattenuti in un Cpr sono le uniche persone sulla cui libertà decide un giudice, il giudice di pace, a cui il legislatore non ha attribuito il potere di disporre pene detentive. Nella quasi totalità dei casi le udienze vengono tenute all’interno del Centro, riguardo ai tempi poi, la metà delle udienze di convalida e l’80 per cento di quelle di proroga non superano i 5 minuti, stesura del provvedimento compresa.
Intanto i dati più recenti confermano l’inefficacia dello strumento: dal 1° gennaio al 22 aprile 2021 i rimpatri dal Cpr di Torino sono stati appena 44 a fronte di 142 rilasci per il raggiungimento del termine massimo di trattenimento.

Il contesto disumanizzante
Varcare la soglia di corso Brunelleschi significa per molti stranieri sparire dal mondo: sottrazione dei telefoni, diniego di accesso alla rete, impossibilità di ricevere chiamate dall’esterno, prolungata sospensione delle visite. Un centro inerte e sigillato ermeticamente.
Una politica di isolamento che ha portato anche all’esclusione della società civile dal Cpr. Nel 2019 molte associazioni e cooperative sociali, sollecitate dal Garante comunale, si erano offerte per collaborare al miglioramento della qualità della vita dei reclusi.
Due anni dopo la richiesta inviata alla Prefettura e all’ente gestore, accompagnata da una serie di proposte operative, è ancora in attesa di risposta. Non si possono più tenere gli occhi chiusi, è ora di tornare a chiedere.

(barbara saporiti)

In questo articolo Immigrazione

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