Il giorno in cui accompagno Frank a fare gli esami del sangue gli propongo innocentemente un cappuccino al bar. Rimane fermo, immobile. Quasi incredulo. Poi ci sediamo e con il cucchiaino comincia a girare lentamente il latte schiumato che ricopre il caffè. Parliamo del più e del meno e mi racconta di quanto male abbia alle ginocchia per le ore che passa, piegato in due, davanti ai supermercati a chiedere soldi ai passanti.
Frank ha più di 30 anni ed è originario della Nigeria. Durante il viaggio ha perso quasi completamente l’utilizzo dell’orecchio sinistro a seguito delle forti violenze subite e la comunicazione è difficoltosa. Mostra segni evidenti di problematiche sanitarie e soprattutto di mancato accesso ai servizi. Alla domanda “qualcuno ti chiede soldi per quello che fai e ti controlla?” segue sempre un lungo silenzio.
Ma alcuni elementi non tornano, nei racconti di Frank. Lavora in orari prestabiliti, cambia zone di Torino in giorni prefissati. Decidiamo così di inserire Frank, dopo alcuni mesi di accompagnamento e orientamento ai servizi sanitari e legali della città, in una casa per potenziali vittime di tratta che grazie al progetto Alfa permette di accogliere per un breve periodo, 30 giorni, persone che hanno bisogno di più tempo e fiducia per condividere la propria storia.
E questa accoglienza cambia di fatto le sorti del percorso di vita di Frank che, mesi dopo, racconterà di essere controllato e sfruttato e soprattutto di avere un debito da restituire.
Come lui, più di 350 persone hanno avuto la possibilità, in Piemonte, di trovare uno spazio sicuro in cui poter, con i tempi necessari, raccontare la propria storia e costruirsi un futuro diverso.
Il progetto Alfa, finanziato tramite fondi europei dal ministero dell’Interno, con capofila la Prefettura di Torino, che prevedeva l’accoglienza di persone potenziali vittime di tratta dal giugno 2019 al luglio 2022 ha seguito e inserito nelle strutture complessivamente 359 donne, 122 bambini (di cui 34 nati durante l’accoglienza), 6 uomini e 3 persone transgender. I percorsi di accoglienza prevedevano un periodo di 30 giorni, come quello vissuto inizialmente da Frank, a cui seguiva, eventualmente, un’accoglienza residenziale di sei mesi.
Per molte persone incontrate in questi anni di progetto è stato importante in primo luogo offrire loro una casa, uno spazio dove potessero sentirsi accolti, considerate persone, detentori di diritti e non più “merce”. Intervenire in primis sulla precarietà abitativa e sociale, cercando di costruire giorno dopo giorno un rapporto di fiducia reciproca, ha permesso per molti di loro di prendere consapevolezza della loro condizione di assoggettamento e sfruttamento dalle reti criminali e di riuscire così a condividere la loro storia con gli operatori.
La maggior parte delle persone seguite in Alfa, avendo raccontato storie di tratta e di sfruttamento sessuale, lavorativo o di accattonaggio sono state successivamente inserite all’interno dei progetti specifici per le vittime di tratta, finanziati dal Dipartimento per le Pari Opportunità. Nello specifico molte di loro sono state accolte nel progetto regionale “Anello Forte”, di cui il Gruppo Abele è partner e che vede come capofila la Regione Piemonte.
I numeri così alti hanno messo gli operatori e le istituzioni davanti a un evidente necessità di implementare ulteriori azioni a sostegno di chi è vittima di tratta: queste 360 accoglienze su tutto il Piemonte dimostrano quanto “bisogno” senza risposta c’era (e c’è) sui nostri territori. Bisogni molto variegati che vedono almeno due elementi costanti che si intrecciano con la storia, passata o più attuale, di tratta: la povertà economica, da un lato, quella di relazioni dall’altro. Entrambe accentuate dalla pandemia da Covid-19, arrivata un anno dopo la partenza del progetto.
Infatti la precarietà di chi vive senza regolari documenti e senza un’entrata fissa di uno stipendio ma con l’obbligo di pagare un affitto e delle spese è il terreno preferito su cui si muovono le reti criminali, che tendono a sfruttare in modo particolare persone fortemente vulnerabili e che spesso sono invisibili per la nostra società.
E così un’accoglienza, anche breve, può aiutare a sistemare i tasselli di una vita caratterizzata da fragilità economica e costante esposizione a chi vuole sfruttare questa posizione.
E poi, la dimensione relazionale. L’abbiamo vista, come sempre, nascere giorno dopo giorno sia nella nostra casa di accoglienza in bassa soglia che ha accolto 42 persone, quasi tutte provenienti dalla Nigeria ma anche dalla Costa D’avorio, dal Brasile, sia a Casa Freeda, il luogo che ha visto “passare” le storie di oltre 15 persone e sei bambini. Una relazione fatta, come tutte, di scontro e incontro, di tanta ricchezza che non nasce tanto dalla “diversità in sé” quanto dalla voglia di mettersi in discussione.
Un altro elemento che ha caratterizzato le accoglienze del progetto Alfa è la dimensione transazionale dei percorsi migratori delle persone. Dal gennaio 2021, in tutto il Piemonte, sono state accolte 38 donne (27 mamme con 42 bambini) provenienti da Francia (21), Germania (13), Portogallo, Islanda, Spagna e Olanda. Spostamenti “liberi”? Ad oggi è difficile dare una risposta esaustiva. Quel che è certo è che sia per le reti criminali sia per le persone, la mobilità resta una dimensione irrinunciabile.
All’inizio di ottobre 2022 Ruth, nome di fantasia, si presenta al nostro Sportello di accoglienza per persone vittime di tratta chiedendo aiuto. Racconta di essere rientrata dalla Germania pochi giorni prima e di aver dormito all’addiaccio per oltre due notti. Ruth è diffidente, non racconta nulla della sua storia, del motivo che l’ha portata ad abbandonare l’Italia e poi rientrarci, senza alcuna progettualità e luogo sicuro in cui essere accolta.
Ha 26 anni ed è originaria della Nigeria ma non ha nessun documento. Mostra segni di grande sofferenza, fragilità: fatica a parlare anche in inglese, le sue risposte arrivano dopo lunghi silenzi. Per lei l’ingresso in case di accoglienza notturna è per questo motivo più complicato. L’accoglienza in bassa soglia sarebbe stata una risposta perfetta ma purtroppo non è più possibile.
Per Ruth, per tutti coloro che da oggi busseranno alle nostre porte sarà difficile offrire delle risposte immediate, ma ci auguriamo in un futuro non troppo lontano di poter presto riaprire le porte di Casa Freeda.
Questo nome, studiato e pensato dalle operatrici che hanno lavorato nella struttura, nasce dalla fusione di alcune parole rappresentative, che richiamano gli ideali e gli obiettivi del progetto stesso: Farida فرد (nome proprio arabo che significa perla rara) e Freedom (libertà). È anche un nome proprio di donna, Frida o Farida. Vuole trasmettere la rappresentazione della donna libera o della libertà-donna. Ed è questo il messaggio che scegliamo di mandare anche oggi, Giornata europea contro la tratta di esseri umani. Libertà per tutti e tutte.
simona marchisella e luca rondi
Progetto Prostituzione e Tratta del Gruppo Abele