Il 20 giugno scorso, in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha pubblicato il rapporto annuale, relativo al 2018, con i numeri descrittivi del fenomeno dei flussi migratori a livello mondiale. Secondo il rapporto 70.8 milioni di persone in tutto il mondo, sono costrette a fuggire dal proprio Paese. Di queste, circa 25.9 milioni sono rifugiati, più della metà dei quali di età inferiore ai 18 anni. Venti anni fa erano meno della metà.
Sarà da questi numeri che nasce la paura dell’invasione.
Tra i primi Paesi di accoglienza, solo uno è occidentale: la Germania, con 1.1 milioni di persone accolte.
Per quel che riguarda il Mediterraneo, la rotta migratoria più mortale del mondo, dove tra il 1° gennaio 2014 e la fine di luglio 2017 sono morte oltre 14.500 persone, e in particolare l’Italia, l’ultimo cruscotto statistico (8 luglio 2019), del ministero dell’Interno indica che il numero dei migranti sbarcati dal 1° gennaio 2019 all’8 luglio 2019 è di 3.073 persone. Comparati con i dati riferiti allo stesso periodo del 2018 si osserva un calo dell’ 81.85%. Del 96.39% rispetto al 2017.
Di questi 3.073, le navi umanitarie, i taxi del mare, le diaboliche Ong ne hanno portati oltre i nostri sacri confini 297. Il 10%. Gli altri, giunti in Italia, a terra o in acque nazionali (e poi di dovere trascinati in porto dalle motovedette italiane), sono (a giugno 2019) 2.486. Numero a cui andrebbe infine aggiunto quello di coloro che, arrivati inosservati, si sono dileguati.
Questi 2.486 sono quasi tutti migranti economici. Dunque destinati al rimpatrio. Pratica, quella del rimpatrio che, pur essendo una bandiera della campagna elettorale leghista, non sembra essere la soluzione all’invasione, visto che tra giugno e dicembre 2018 le persone rimpatriate sono state 3.851. L’anno prima, nello stesso periodo di tempo ma con un nome diverso come titolare dell’interno, erano state 3.968. Nel 2019 la media dei rimpatri è di 18 al giorno. Identica a quella del 2018 e di poco superiore a quella del 2017 (17 al giorno).
Eppure, i numeri in calo degli sbarchi, incoerenti con quelli in aumento dei profughi mondiali devono avere una spiegazione. Spiegazione che non può consistere nella finissima strategia del piano Aiutiamoli a casa loro, tramite i fondi alla cooperazione internazionale. Il Rapporto Oxfam-Openpolis 2019 sulla cooperazione internazionale dice infatti che l’Aps (Aiuto pubblico allo sviluppo) italiano, calcolato in relazione al reddito nazionale lordo, è calato dallo 0.30% del 2017 allo 0.24% del 2018 (-21.3%). Con un risparmio di 860 milioni di rispetto alla mai raggiunta, seppur sottoscritta (nella legge di bilancio 2018), previsione di stanziamento di 5.02 miliardi. Senza tralasciare che nel 2018 il nostro Paese ha ridotto del 22% i fondi destinati ai Paesi meno sviluppati (Lcds) rispetto al 2017 e del 35.5% gli aiuti ai paesi dell’Africa subsahariana.
Ricapitolando, il numero degli sbarchi di migranti sulle coste italiane è quasi azzerato (-81.85%). Gli aiuti alla Cooperazione e allo sviluppo sono diminuiti (-21.3%). Il sistema preesistente di accoglienza non è migliorato, anzi, come stima l’ultimo rapporto della Fp Cgil (aprile 2019) l’attuazione del decreto Salvini, porterà alla perdita di circa 18mila posti di lavoro tra gli operatori. Insomma, l’invasione è numericamente inesistente e economicamente recisa. Eppure discussissima e allarmante. Dunque, come si spiega il fenomeno?
Ci ha provato don Ciotti il 25 giugno, durante i giorni passati in attesa dello sbarco delle 40 persone della Sea Watch 3, con queste parole: “Si sta giocando una partita di civiltà. Perchè quando viene meno il dovere di soccorso, un dovere che nasce dall’empatia fra gli esseri umani, dal riconoscerci gli uni e gli altri soggetti a un destino comune, viene meno il fondamento stesso della civiltà”.
(toni castellano)