Aamaal e Mustafa (nomi di fantasia) sono due cittadini afghani di etnia tajika. Lei, attivista per i diritti umani. Lui, ex poliziotto braccato dai nuovi, vecchi, padroni fondamentalisti dell’Afghanistan. Vivono l’orrore dei mostri gramsciani, i mostri che nascono quando un’epoca muore e quella nuova tarda a sorgere sulla storia di un Paese.
Per un anno intero non hanno fatto altro che scappare, perseguitati e spaventati. Nascondigli, rifugi, sotterranei, cantine. Nelle viscere dell’Afghanistan loro e cinque figli, di cui uno che sembra più fragile degli altri, contando i parenti e gli amici torturati e uccisi per l’opposizione al regime.
Un mese fa la disperazione dell’ultima carta da giocare li porta a Maria Grazia Mazzola, inviata speciale del Tg1, da tempo attiva nell’organizzare la fuga di donne dissidenti. Lei contatta prima Sant’Egidio, poi il Gruppo Abele. I sette rientrano, per la gravità della loro situazione (la polizia dei taliban è a un passo dal loro nascondiglio), nei corridoi umanitari. 6735 chilometri in volo da Kabul a Fiumicino, insieme ad altre 63 persone, tra cui molte donne attiviste dell’Afghanistan Women’s Political Partecipation Network, e poi altri 650 chilometri da Roma al Piemonte, accolti in una struttura protetta del Gruppo Abele.
Accogliere è molto di più che dare un tetto a chi ha bisogno: è un atto politico che mette al centro la dignità e i diritti di ogni persona, ma è anche una ricchezza straordinaria per le nostre associazioni e per il nostro Paese. Forse lo dimentichiamo troppo spessoLucia Bianco - Vicepresidente Gruppo Abele
L’impegno del Gruppo Abele e quello di altre organizzazioni del privato sociale laico o religioso, è stato al centro della conferenza stampa che si è tenuta a Roma il 6 dicembre, nella Sala delle Bandiere della sede del Parlamento Europeo in Italia. E che è servita, oltre a dar voce all’impegno della rete di donne afghane anti-taliban, a lanciare l’ennesimo appello al Governo italiano affinché contro guerra e persecuzioni non ci si limiti a proclami estemporanei, ma si assumano impegni reali.
I corridoi umanitari sono determinanti per salvare la vita delle persone ma sono solo una parte della soluzione. Il Terzo Settore da solo non può farcela. Dopo l'accoglienza inizia un percorso lungo, spesso a ostacoli, fatto di barriere da superare, costruzione di integrazione attraverso la lingua o il lavoro; un percorso che chiede il coinvolgimento di molti soggetti, soprattutto a livello pubblico